Il caso

Bari, tutti i veleni della cardiochirurgia pediatrica

Massimiliano Scagliarini

Manca personale, i medici litigano. Il Policlinico di Bari: riaprirà a giugno ad Asclepios

BARI - Nel corso dell’intero 2022 la cardiochirurgia pediatrica del Giovanni XXIII di Bari ha effettuato appena 4 interventi. Problemi organizzativi, certo, ma anche la mancanza di fabbisogno (nell’intera Puglia gli «under» che hanno avuto bisogno di trattamento chirurgico al cuore sono stati poco meno di 80). E la difficoltà nel reperimento di personale specializzato, in particolare perfusionisti, ha fatto il resto: da lunedì il Policlinico di Bari, da cui dipende l’«ospedaletto», ha disposto la sospensione temporanea delle attività del reparto diretto dal dottor Gabriele Scalzo. Che non riprenderanno, ma verranno trasferite.

«Non esiste alcuna emergenza e non c’è nessun tipo di disagio all’utenza», dice il direttore generale del Policlinico, Giovanni Migliore, che spiega la scelta strategica: «L’attività verrà riorganizzata e sarà trasferita all’interno di Asclepios 3», il nuovo plesso della chirurgia di emergenza del principale ospedale pugliese. «Se tutto va bene, contiamo di aprire entro i primi sei mesi di quest’anno».

Le linee guida delle società scientifiche ritengono che un reparto di cardiochirurgia pediatrica debba trattare un minimo di 150 casi all’anno. In Puglia questi numeri non ci sono, e a livello nazionale i reparti attivi si contano sulle dita di una mano. E, d’altro canto, la specializzazione di cardiochirurgia pediatrica non esiste: si tratta di cardiochirurghi che nel corso dell’attività professionale sviluppano una specifica esperienza sul bambino. I tre rimasti in servizio al Giovanni XXIII continueranno a svolgere attività ambulatoriale e opereranno (per ora) sugli adulti. L’idea del Policlinico, che emerge da una decisione condivisa con la Regione, è di spostarli all’interno del dipartimento Cuore dell’ospedale universitario, dove - da giugno - riprenderanno gli interventi anche sui bambini. Nel frattempo, i pazienti verranno trattati fuori regione, prevalentemente al Bambin Gesù con cui il Policlinico intende riavviare una convenzione già esistente.

La vicenda fa riemergere le perplessità sul Giovanni XXIII, che dipende dal Policlinico ma la cui specializzazione nel materno-infantile resta sulla carta. L’Università a fronte delle carenze di personale ha preferito preservare la Scuola di specializzazione, dove afferiscono i chirurghi. Ma d’altro canto il Giovanni XXIII non è dotato di Neonatologia, reparto (di eccellenza) del Policlinico: e dunque è sembrato più giusto trasferire nel plesso principale anche la cardiochirurgia pediatrica. «L’assistenza - dice Migliore - sarà garantita nel migliore dei modi. Nel frattempo sono stati previsti percorsi in piena sicurezza. Non è stato cancellato nessun intervento, nessuno si è visto negare nulla, non esiste alcun tipo di disagio ma soltanto la necessità di rivedere l’organizzazione alla luce di valutazioni medico-scientifiche».

Nei mesi scorsi il Giovanni XXIII è stato anche al centro di veleni tra medici. Lo scorso anno il primario rianimatore dell’«ospedaletto», Leonardo Milella (a sua volta nel frattempo finito a processo per una morte sospetta), aveva inviato in Procura una diffida che riguarda la mancata attivazione di una Terapia intensiva cardiochirurgica. Sul caso è stata aperta una indagine. Secondo Milella la mancanza dell’Intensiva sarebbe collegata con una trentina di morti sospette. Su questo anche la Regione vuole saperne di più, e ha mandato agli ispettori del Nirs gli esposti arrivati da alcune famiglie che segnalano casi di presunta malasanità. 

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