L'infrastruttura

Bari, in bici sul ponte Adriatico: «Il segno della croce e poi si parte»

Francesco Petruzzelli

Il percorso è pericoloso persino per un pedone. «E non ci sono connessioni con altre piste»

BARI - La serpentina sta tutta ai due lati opposti del ponte. Tra rotatorie e percorsi che disorientano il potenziale ciclista. Con una domanda che spesso rimbalzerà nella testa del popolo delle due ruote: «E ora dove proseguo?».

Ciclisti per un’ora sul ponte Adriatico. L’avveniristica struttura - inaugurata in un sabato di settembre del 2016 dall’allora premier Renzi - che dalla prossima estate aprirà le porte anche ai ciclisti. Lungo quei circa 630 metri di percorso che se da un lato fanno la felicità degli automobilisti (è molto più agevole passare dall’Asse Nord Sud al mare e viceversa) dall’altro rendono per ora impossibile la vita di un ciclista. Almeno lungo i percorsi ciclopedonali che a distanza di sei anni restano, sulla carta, vietati alle due ruote non inquinanti. Tutto a causa della cronica mancanza dei dispositivi paracolpi che saranno installati a protezione delle barriere guard rail del ponte e indispensabili per la sicurezza dei ciclisti. In attesa di questi lavori, annunciati nelle scorse ore dal Comune e per un importo di 300mila euro, abbiamo provato a immaginare l’itinerario di un ciclista, percorrendolo in compagnia di un esperto, Lello Sforza. Uno che pedala ogni giorno, uno che spesso denuncia le criticità di alcune piste - negli ultimi tempi ne ha per quella light del lungomare Nazario Sauro - e che ora ripete retoricamente una domanda: «Ma questa pista del ponte dove ci può portare?».

IN VIAGGIO Percorrendola dalla rotatoria di via Nazariantz e dall’ingresso del parcheggio del cimitero, il nostro viaggio inizia tra una segnaletica spesso confusa (sull’asfalto c’è il logo sbiadito di una bicicletta che lì, almeno per ora, non può transitare) e lungo attraversamenti ciclopedonali, i quadretti, che affiancano le classiche strisce. E dei quali molti automobilisti e pedoni ne ignorano il significato. «Guardi qui come sarà difficile attraversare con la bici e imboccare la pista», ci indica Sforza, mentre conduce a piedi la sua compagna a due ruote in attesa che qualche automobilista rispetti il limite di velocità dei 50 chilometri orari. Lungo il percorso ciclopedonale spuntano le erbacce, i rifiuti di ogni genere (come bottiglie di birra, cassette della frutta) e persino tracce di incidenti stradali tra vetri frantumati e un paraurti. «Qui anche per un pedone è pericoloso camminare», avverte il nostro accompagnatore mentre ci conduce verso la rotatoria di via Sangiorgi, quella che separa il Lidl da Deodato. «Ora dove proseguiamo? Da nessuna parte. Non possiamo proseguire né verso il Quartierino, dove le Fal stanno facendo strade e piste, né collegarci da via San Giorgio Martire e immetterci su via Bruno Buozzi dove c’è la nuova pista. Qui non ci sono connessioni». «Un vero peccato - aggiunge -. Qui ci sono ipermercati, attività, palazzi in costruzione e il vicino teatro Kismet. Nulla che possa essere raggiunto in bici. Un bimbo che nasce qui, nasce su una rotatoria e in mezzo al traffico».

IL RITORNO Proviamo quindi a ritornare su via Nazariantz imboccando la pista nell’altra direzione. Un’impresa attraversare il ponte tra auto che sfrecciano. Ma alla fine ce la facciamo e imbocchiamo il percorso. Un percorso che termina con un guard rail frontale e a coppa. «Se non ti funzionano i freni ti schianti» dice il nostro Cassandra delle due ruote, facendoci notare l’assenza di visuale (il ciclista deve fermarsi, guardare a destra e sperare che le auto rispettino lo stop) e la presenza dell’ingresso della scuola Perone. Il tutto in pochi metri che all’ora di punto assomigliano a un incrocio stradale di Pechino. E ora dove si prosegue? C’è la pista ciclabile di corso della Carboneria, più utile alla sosta delle auto che non al percorso unificato di un ciclista».

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