Il caso
Bari, morì di fatica nei campi: il processo slitta di un anno
La tragedia in provincia di Bari nel 2015, ora si rischia la prescrizione
BARI - È stato rinviato di un anno il processo per la morte di Paola Clemente la 49enne bracciante di San Giorgio Jonico deceduta in un vigneto di Andria il 13 luglio 2015. A oltre sette anni di distanza dalla morte della donna diventata simbolo per l’Italia intera della lotta al caporalato, il processo che dovrà accertare le eventuali responsabilità del suo datore di lavoro slitta di altri 12 mesi. Un processo che di fatto è appena incominciato visto che il 9 giugno 2023 dovranno essere esaminati in aula i primi tre testimoni dell’accusa. Alla sbarra, come detto, c’è un unico imputato: Luigi Terrone, di Corato, amministratore unico della «Ortofrutta Meridionale Srl» per cui la Clemente lavorava in virtù di un contratto di somministrazione con l’agenzia interinale «Info Group Spa»: l’accusa nei suoi confronti è di omicidio colposo per non aver impedito la morte della bracciante dato che all’Ortofrutta Meridionale, spettavano «gli obblighi di prevenzione e protezione dei lavoratori somministrati».
Quella mattina Paola non si sentiva bene. Secondo quanto le colleghe hanno raccontato al marito, Stefano Arcuri, la donna aveva mostrato segni di malessere già dopo la partenza: Paola aveva chiesto di essere condotta in ospedale, ma la risposta era stata che bisognava arrivare ad Andria. Una volta giunta in campagna, Paola è stata invitata a sedersi sotto un albero in attesa che i fastidi passassero. Forse la donna sentiva che la situazione peggiorava e aveva chiesto di chiamare il marito, ma qualcuno le aveva fatto presente che la distanza tra San Giorgio Jonico e Andria era troppa. E così, Paola è rimasta sotto l’albero.
È morta lì: l’intervento del 118 non è servito, il suo corpo è finito direttamente nella camera mortuaria del cimitero di Andria. Quella storia aveva scatenato l’indignazione dell’intero Paese: il caporalato era balzato ai primi posti nell’agenda di Governo. Il Ministero del Lavoro, la Regione Puglia e le forze dell’ordine avevano persino costituito una task force per contrastare la nuova schiavitù dei campi. Denunce e arresti si sono susseguiti, ma poi qualcosa è cambiato.
Per la morte di Paola sono state avviate due inchieste: oltre a quella contro Terrone, in cui oltre ai familiari di Paola con l’avvocato Giovanni Vinci, si è costituita parte civile anche l’associazione «12 giugno per le vittime sul lavoro» con l’avvocato Antonella Notaristefano, c’è infatti un secondo processo sulle modalità di reclutamento dei braccianti: in 6 sono accusati, a vario titolo, di aver sfruttato, minacciato e intimidito i lavoratori, in gran parte donne, di non chiamarle più se non avessero accettato quei pochi euro per intere giornate con la schiena piegata tra i campi. Anche questo processo, in cui è costituita parte civile anche la Flai Cgil Puglia con l’avvocato Claudio Petrone, sembra avviarsi alla prescrizione: il prossimo 26 settembre il nuovo giudice dovrà infatti decidere se rinnovare le questioni preliminari e ricominciare dall’inizio oppure andare avanti ascoltando cinque testimoni dell’accusa. «Per il processo di omicidio colposo, i tempi di prescrizione sono lunghi, ma un rinvio di un anno per i soli primi tra testi dell’accusa è, comunque, incomprensibile» ha spiegato alla Gazzetta l’avvocato Vinci. E alla famiglia non resta che aspettare una giustizia che appare sempre più lontana.