L'INTERVISTA

Veneziani fuori dal coro: «Rompiamo la Cappa del nuovo conformismo»

Michele De Feudis

Lo scrittore presenta oggi a Bari l’ultimo libro nella biblioteca della fondazione Tatarella

«L’alternativa al conformismo è tentare l’assalto al cielo»: Marcello Veneziani, intellettuale che si riconosce nel pensiero rivoluzionario conservatore, invita a non cedere ai luoghi comuni, coltivando senso critico e un ritorno alle origini. Lo scrittore di Bisceglie, editorialista de «La Verità», presenterà il suo ultimo saggio La Cappa (Marsilio) oggi a Bari (alle 18, nella biblioteca della Fondazione Tatarella, introdotto da Annalisa Tatarella e Manlio Triggiani).
Il simbolo della cappa che allegoria richiama?
«Il riferimento non è alla metafora: la spada del Graal o quella di Excalibur. Mi riferisco a una cosa grande, come la Cappa, estesa al nostro cielo e a una cosa che abbiamo in mano, la spada, unica arma per perforare la cappa».
La cupola del conformismo…
«È una cappa atmosferica, composta da diverse nuvole che si sono compattate: la politica sanitaria, quella militare, il politically correct, alla cancel culture. Senza dimenticare il reticolo di surreali divieti, il cat-calling e l’uniformismo sessuale».
"L’uomo rischia più della Natura", scrive in uno dei passaggi salienti del volume. Esprime disincanto per la retorica della transizione green?
«Sono convinto che stiamo avviando campagne per l’ambiente ma dimentichiamo la Natura profonda, a partire da quella umana. Ci muoviamo dal surrogato della Natura, ovvero l’ambiente, e dimentichiamo il diritto naturale, che vogliamo modificare con il gender fluid, che configura la mancata accettazione della Natura stessa. E tutto questo mentre parliamo estasiati di alimenti bio. Eppure dovremmo riscoprire che la Natura è limite, corpo, differenza tra maschile e femminile».
Assistiamo anche alla ostracizzazione delle tradizioni. Professare il proprio identitarismo è ormai un crimine intellettuale?
«Tutto ciò che persiste in fedeltà, coerenza e tradizione viene considerato un disvalore, mentre essere geneticamente modificati è auspicabile: dalle idee, ai corpi, ai rapporti civili. C’è un rifiuto radicale delle identità, considerate delle prigioni e non dei gusci protettivi o dei legami con il mondo che ci ha preceduto».
I cortocircuiti: la contesa ucraina fa tessere elogi del nazionalismo a chi fino a poco fa esaltava l’ideologia dell’internazionalismo.
«È paradossale. Ormai si esalta il nazionalismo che sconfina nel nazismo, rimuovendo il dato che il nazionalismo ucraino è solo funzionale all’allargamento della Nato, per poter disporre di una nazione in un quadro egemonico degli Usa. L’Europa è ridotta a corridoio che porta alla Nato. Questa è la strategia americana, avviata prima che Putin attaccasse, con governi pilotati da questa logica, con le rivoluzioni arancioni».
Anche sulla guerra c’è scarsa tolleranza per il dissenso rispetto alla vulgata occidentalista.
«Nessuno solleva dalle responsabilità Putin, l’attacco è da condannare, ma la ricostruzione della storia non può prescindere da chi non ha voluto trattative e voleva impiantare basi Nato a pochi passi da Mosca. Nell’informazione sul conflitto a est, non si possono avere opinioni difformi da quelle di regime».
Oltreoceano il dibattito è prigioniero di Trump e della cancel culture?
«In questa fase da italiano ed europeo, rimpiango Trump. Poteva essere sgradevole ma la sua polita estera non era di intervento militare nel mondo, non c’era espansionismo Nato e l’imposizione di un nuovo ordine mondiale. Lo slogan «America first» indicava di occuparsi dell’America in primis. Non a caso abbiamo avuto tensioni e guerre con l’arrivo di Biden».
Anche la democrazia sanitaria ha registrato una dialettica elettrica sul tema delle libertà limitate.
«Penso con preoccupazione alle restrizioni adottate in materia di regime sanitario: mi sembrano una prova generale di una nuova stretta in arrivo con le convenzioni del politicamente corretto e le politiche pandemiche. Si punta a ridurre i diritti elementari delle persone. Il “modello pandemia” è stato esportate anche oltre».
Formula anche una critica «alla sostanza dell’impegno» di Saviano, Carofiglio e della Murgia. A cosa si riferisce?
«Prendo le mosse dal libro contro l’impegno di Walter Siti. L’impegno non è deplorevole, ma la qualità dell’impegno è deplorevole. Quando si è conformisti, si prescinde dalla realtà, si fa prevalere l’odio verso gli altri - travestito dall’odio verso chi odia - si impoverisce la cultura e la polemica culturale. E si arriva al rifiuto di conoscere le ragioni degli altri».
Diventa indispensabile l’educazione sentimentale all’anticonformismo. Consiglia di partire dai romanzi di Michel Houellebecq o dai saggi dell’ex intellettuale di sinistra Renaud Camus?
«Ci sono autori come Regis Debray che hanno scritto saggi preziosi sull’elogio della frontiera, o le riflessioni di pensatori come Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, Geminello Preterossi, o di altri studiosi che vengono dal marxismo. Non dobbiamo partire dall’idea che non c’è nulla oltre il conformismo. Non c’è una organizzazione che si contrappone al politicamente corretto, ma ci sono autori che esprimono singolarmente questo disagio, distinguendosi dal mainstream».
Il suo saggio sembra indicare una via per una salvezza spirituale.
«Nel libro diffido dalla proposta politica. C’è conformismo anche nei partiti. Il riscatto passa da una via personale, grazie alla spada dell’intelligenza, con gruppi di lettura, singoli, piccole comunità e movimenti di pensiero: bisogna perforare la coltre di conformismo che ci imprigiona. Ci si salva con l’emigrazione interiore, scoprendo la bellezza di passato, futuro, spazio eterno e mitico».
Oltre questi rifugi, che fare?
«Il mio consiglio finale è tentare “l'assalto al cielo”, non come nel 1968 per buttare giù dei, ma per sgombrare l’orizzonte e renderlo disponibile al nostro sguardo».

Privacy Policy Cookie Policy