L'intervista

«Costruire un'università a misura di donna», parla il rettore dell'Università di Bari Stefano Bronzini

Barbara Minafra

«L’obiettivo è superare la disparità di genere. Agevolazioni fiscali per le studentesse iscritte alle materie scientifiche»

L’Università degli studi di Bari sta cambiando per costruire un Ateneo più a misura di donna. L’obiettivo è ambizioso ma il rettore Stefano Bronzini ci crede. «Per la prima volta, nel nostro Cda ci sono tre donne su otto componenti. Mi sembra un buon segnale. Poi abbiamo il bilancio di genere, una traccia fondamentale sia per partecipare ai progetti europei sia per declinare bene queste dinamiche. Abbiamo già messo in campo alcune azioni virtuose», spiega il rettore.

«L’anno scorso abbiamo introdotto agevolazioni fiscali per le studentesse che vogliono laurearsi nelle discipline Stem, registrando un incremento delle iscrizioni innanzitutto nelle triennali. Per le magistrali potremo vederne l’impatto al termine delle iscrizioni - aggiunge - . Incrementeremo quindi due manovre: riduzione ulteriore dell’agevolazione (oggi è al 30% ma penso al 50%) e abbassamento del forfettario (oggi 65 euro all’anno) per il recupero dei periodi in cui non sono stati dati esami. Lo ridurremo per le ragazze del 75% e per i ragazzi del 50%, per facilitare il rientro nei percorsi formativi. Questo perché c’è un forte bisogno di inserire persone nei percorsi universitari per le varie tipologie professionali che verranno richieste con l’attivazione del PNRR».

A Bari ci sono più studentesse, sono circa il 62% del totale, eppure il dato non si riflette sul mercato del lavoro.
«Le ragazze concludono gli studi in tempi più brevi degli uomini e anche con voti più alti ma dai 27-37 anni si bloccano (è un trend nazionale) perché si sposano e hanno figli. Cercheremo di superare questo stop facilitando particolari linee di ricerca, ad esempio con un dottorato sulle questioni di genere. Sono figure che studiano, come ci è stato chiesto dalle imprese, come favorire l’ingresso o il rientro delle donne nel mondo del lavoro».

Secondo i dati del Miur, nel 2021 il 22% delle ragazze iscritte ha scelto un corso Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), in aumento rispetto agli anni precedenti. Come si colloca Uniba?
« Siamo in linea. Dal mio insediamento siamo passati dal 15,9% al 16,9%. Parliamo ancora di numeri ridotti e l’intervento fatto ha solo un anno di applicazione alle spalle. Serve un triennio per valutare la misura ma c’è già una linea di tendenza. Penso che questi risultati vadano visti non nella fotografia ma nel filmato. Mi auguro di immettere nuovi e più profili professionali per la riduzione del “gender gap”. Non credo però che le politiche finanziarie siano sufficienti».

Il presidente del Consiglio Draghi ha promesso un miliardo di euro per superare gli stereotipi di genere: «Puntiamo - ha detto - a portare la percentuale di studentesse in discipline Stem almeno al 35% degli iscritti». Come fare concretamente?
«Sottoscrivo quanto ha detto Draghi ma il problema è culturale. Se questo miliardo verrà ben speso si potrà tradurre quello che dice il presidente del Consiglio in una politica culturale che parta dalla scuola e porti ad un avvicinamento alle discipline tecnologiche. Ovviamente non posso riservare dei posti alle donne ma posso introdurre facilitazioni per invogliarne la scelta, anche con un dialogo continuo con le aziende, e devo dire che è stato molto virtuoso in Puglia in questo periodo pandemico, per un più agevole inserimento nel mondo del lavoro. Il problema è all’origine, è culturale. Lo chiamerei il “programma contro Barbie”. Bisogna accorciare la distanza nelle aziende, dove assumono meno donne che uomini, e questo è un problema sociale serissimo, ma già prima nelle scuole».

Perché è ancora così difficile trovare donne nei ruoli chiave anche nella sua Università?
«A causa di quel periodo di stop dai 27-37 anni. Abbiamo fatto una manovra che permette di congelare le iscrizioni delle studentesse madri: chi è in stato di gravidanza, non paga l’anno, che viene congelato. Ci sono ottime ricercatrici che in Uniba, pur avendo figli, si sono affermate ma è un numero ridotto rispetto agli uomini, culturalmente più esentati da compiti paralleli. Ripeto, è un problema da affrontare culturalmente».

Nel 2020 (dati Miur) Uniba ha consegnato 7.236 diplomi di laurea, 4.694 a neo dottoresse che oggi cercano lavoro. Lo troveranno in Puglia, al Nord o emigreranno?
«La risposta dipende da quanto riusciremo a rendere strutturali ed efficaci le linee di intervento che si stanno definendo con il PNRR. Dopo anni di blocco, c’è un forte assorbimento nella pubblica amministrazione ma anche nel privato, soprattutto per le lauree Stem. Credo che potranno trovare lavoro al Sud se il Sud si dimostrerà virtuoso nell’utilizzo di questi fondi e riuscirà a renderli strutturali, perché la mia paura è la precarietà del finanziamento».

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