Le relazioni sociali
Bari, educatori e bambini l’amore oltre la pandemia
Il Covid-19 ha imposto regole ferree su igiene e distanziamento ma gli abbracci, pur virtuali, resistono. Un lavoro arduo per le educatrici del Centro diurno «San Nicola» per i disabili
BARI - L’epidemia ha imposto un linguaggio nuovo fatto di sguardi e braccia al petto. Un alfabeto imprevisto, dettato dal Coronavirus, scritto con entusiasmo dagli educatori, dai bambini, dai giovani: giorno per giorno.
EMOZIONI - «Ogni giorno è una scoperta» spiega Rossella Clarizia, educatrice professionista al Centro diurno «San Nicola» per i disabili. Una scoperta fatta di emozioni, prima di tutto. «Da due settimane abbiamo ripreso le attività. Incontrando i ragazzi avrei voluto abbracciarli tutti, la tentazione è stata forte: rivedendoli mi sono avvicinata, ho fatto un passo avanti, poi mi sono trattenuta. Ecco che ogni mattina - racconta Rossella - incrociamo le braccia al petto. Ci salutiamo così, simulando un abbraccio. Il corpo è importante, il contatto soprattutto, specie con i ragazzi disabili. Gli sguardi sono diventati la nostra ricchezza, già erano importanti prima, ora di più».
VOCI - Persino riconoscersi è stato complicato: «Siamo insieme da due anni, ma dietro la mascherina qualcuno mi ha guardato quasi fossi un’estranea. Poi sentendo la mia voce, ripetendo le battute che ci fanno ridere, i loro occhi si sono illuminati» aggiunge Rossella. L’epidemia ha tentato di cancellare ogni traccia del lavoro che tutti gli educatori e le educatrici hanno svolto, in questi mesi di chiusura, e sono tornati a svolgere negli ultimi giorni, garantendo la presenza fisica; ma il tentativo di mandare all’aria quanto di buono costruito non è riuscito. L’umanità, l’amore, la tenacia, la capacità di adattamento si sono dimostrati più forti: «Abbiamo rielaborato i progetti e ora utilizziamo i programmi musicali per computer e, grazie ai libri con i disegni, i ragazzi riproducono i suoni. Poi - aggiunge Rossella - facciamo body percussion e il corpo diventa uno strumento».
REALTÀ - L’educatrice guarda al futuro con ottimismo e vuol allontanare dubbi e perplessità che pure si affacciano fino all’orlo «del crollo psicologico. Ma sono ottimista e sa cosa mi spinge ad esserlo? Il fatto che i ragazzi si siano adattati alla nuova realtà e la rispettano, grazie al lavoro che abbiamo fatto insieme ai genitori nei mesi di didattica a distanza, perché noi non li abbiamo mai abbandonati».
FIDUCIA - Lo stesso ottimismo squilla nella voce di Jacqueline Pinto, chiamata a coordinare il lavoro degli educatori al Centro diurno salesiano della parrocchia del Redentore: «La chiusura del Centro, lo scorso 10 marzo, ci è sembrata una catastrofe. Il rischio era quello di azzerare tutto. Invece abbiamo utilizzato questi mesi per prepararci al ritorno insieme, mantenendo la continuità educativa, il dialogo con i genitori, quel rapporto di fiducia essenziale quando devi aver cura di bambini chiusi in 30 metri quadrati, che vivono un’infanzia problematica, dentro famiglie in difficoltà economica e sociale. Prevenzione, attività creativa, laboratori; abbiamo impegnato i piccoli - ricorda ancora Jacqueline Pinto - nelle attività quotidiane. Abbiamo riaperto da pochi giorni ed è stato emozionante. Per loro siamo dei punti di riferimento anche se è difficile parlare ai bambini con la mascherina, loro hanno bisogno di vedere il nostro volto, la bocca, le labbra. Siamo più attenti allo sguardo, ci alleniamo ai comportamenti non verbali, una sfida in più». Jacqueline fa parte della cooperativa «Il sogno di don Bosco». I bambini seguiti sono 30, suddivisi in due turni da 15 e si alternano anche in videocollegamento.
TALENTO - Emozione, dispiacere nel non poter abbracciare i bambini almeno per ora, ma anche risorse e inventiva. «Prima i gruppi su whatsapp, poi addirittura dei filmati tutorial su come rispettare le misure igieniche e di sicurezza nel Centro diurno a ritmo di tic toc, il social su cui puoi creare video musicali. Ogni giorno inventiamo qualcosa. Un modo per tirar fuori il talento dei bambini, perché in ognuno di loro c’è un talento e noi educatori possiamo ogni volta metterci in gioco. Nel nostro caso, il lavoro con i Salesiani ci premia perché resta centrale l’idea di don Bosco: i bambini prima di tutto. Il nostro lavoro – conclude Jacqueline Pinto – è costruire relazioni. Le relazioni, specie quelle che costruiscono proprio gli educatori non sono un “prodotto forte” per questa società, ma la pandemia ha dimostrato il contrario ed occorre maggiore considerazione. Gli educatori devono essere ascoltati».
ESIGENZE - Più ascolto e attenzione; esigenze che l’epidemia da Coronavirus ha svelato in tutta la loro necessità. Ed è urgente anche considerare la partita delle norme che regolano le attività nei centri e l’equilibrio tra il servizio nelle strutture che si avvalgono degli educatori e il mondo della scuola. «È un momento complicato. A livello normativo pesa la distinzione tra i percorsi di educatore socio-sanitario, che si forma studiando Medicina e quello di educatore sociale che ha frequentato facoltà come Pedagogia o Scienze dell’educazione». A parlare è lo scrittore e musicista Daniele Di Maglie, ex educatore, ora nella scuola, per tanti anni a fianco dei ragazzi disabili. «Ricordiamo che la figura dell’educatore è poco valorizzata e per giunta vessata. Perché spesso gli educatori lavorano all’interno di cooperative sociali e sono costretti a sottostare a un gioco al ribasso dal punto di vista del trattamento economico. Dobbiamo ricordare una cosa: per fare questo lavoro occorre un grande entusiasmo spesso messo a dura prova dalle difficoltà cui accennavo prima. Spesso gli educatori sono lasciati soli, senza molti strumenti. Diciamo – conclude Di Maglie – che servono meno retorica e più interventi legislativi che tengano presente la situazione e portino davvero miglioramenti».
PARADOSSO - Una situazione paradossale la vivono, infine, i formatori. Ai quali viene demandata una funzione anche educativa se pensiamo all’impegno e alle difficoltà vissute, tornando all’ambiente salesiano, dal Centro professionale appena riaperto. «Lo statuto non prevedeva la formazione a distanza e la Regione Puglia ha decretato la ripresa lo scorso 3 giugno. I ragazzi non hanno grandi mezzi e li abbiamo dotati di tablet per seguire i due corsi di operatore per la riparazione di veicoli a motore e operatore elettrico». A raccontare le difficoltà di questa esperienza è Elena La Ficara, psicologa, che si occupa del coordinamento didattico delle attività: «I giovani hanno buona volontà, ma è difficile restare tante ore davanti a uno schermo per le lezioni teoriche. Si tratta di ragazzi che provengono da percorsi sociali e personali difficili, accidentati e con i quali abbiamo continuato a tenere i rapporti anche durante la chiusura dovuta al contenimento dell’epidemia».
DOMANDA - «Ora però sono due le difficoltà: il monte ore da ultimare per ottenere la qualifica professionale e che li costringerà a continuare la formazione in estate e la necessità di riattivare i laboratori garantendo la presenza. Non è facile anche perché, guardando parenti, amici, fidanzate che hanno già finito la scuola, si chiedono sconsolati perché sono ancora al punto di partenza e sentono di aver perso tempo. Così – conclude La Ficara – dobbiamo motivarli continuamente e stiamo facendo uno sforzo molto grande in tal senso. Ecco, credo che sia il momento di ragionare su una compensazione della disparità di trattamento tra mondo della formazione e scuola. Sono preoccupata, servono interventi urgenti».