donne e impresa

Bari, fatti a mano e zero sprechi: quando la moda è anche cultura

Antonella Fanizzi

Abbigliamento etico: Sara Cantarone e Alessandra Cioce raccontano la loro attività

La chiave di volta è stato l’incontro con Eric, un giovane del Ghana: Sara Cantarone, 31enne di professione sarta, ha così capito che quella passione coltivata a tempo perso sarebbe diventata il suo mestiere. Circondata da stoffe, borse realizzate a mano, cappelli e manichini - nel laboratorio in affitto nell’ex scuola Melo ormai nota come Spazio 13, un contenitore di incubatori di impresa - mette insieme i pezzi della storia: «Dopo la laurea in lettere con indirizzo in editoria e giornalismo, ho fatto la consulente assicurativa e ho frequentato corsi di doppiaggio e di teatro. Intanto con la lana e con i ferri mi sono divertita a confezionare sciarpe e borse. Ho acquistato una macchina da cucito molto semplice e ho letto le istruzioni. Le mie prime creazioni, soprattutto astucci, borsellini e accessori, proposte nei mercatini hanno avuto successo. Mi sono iscritta a una scuola per imparare le tecniche e affinare la mia arte: ho preso lezioni di taglio, cucito, confezioni per abiti da donna».

Poi l’atto di coraggio: l’apertura dei temporary store, di cui uno nella città vecchia condiviso con altre artigiane, e lo stupore delle mantelle che andavano a ruba. «Tornavo la sera a casa e ricominciavo a cucire. Partecipo in seguito a una fiera a Milano: i miei zaini, fabbricati con le camere d’aria delle biciclette e con i tessuti di scarto donati dai tappezzieri, sono molto piaciuti».

Un giorno Alessandra Cioce, un avvocato 33enne specializzata in diritto amministrativo con un contratto part-time di operatrice legale dello Sprar di Bari, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, amica di Sara, le fa conoscere Eric: il migrante alla ricerca di un lavoro come sarto svela alla modellista tecniche inedite per realizzare camice e vestiti su misura. La tenacia di Eric, che grazie all’aiuto delle due donne e alla campagna di crowdfunding trova il denaro per comprare una sua macchina da cucito, spinge le due trentenni a scrivere un progetto premiato con 27mila euro: a tanto ammonta il finanziamento per le vincitrici del bando Pin, l’iniziativa promossa dalle politiche giovanili della Regione Puglia e dell’Arti a sostegno delle nuove aziende.

L’avventura di «Chari sartoria creativa» (è il nome del progetto) prende forma: è una contaminazione di cultura e di culture, di azioni di resilienza e innovazione, di menti affini accomunate dalla voglia di creare un brand, un marchio indipendente di abbigliamento e accessori.

«Realizzare capi fatti a mano per noi significa contrastare lo spreco, lo sfruttamento eccessivo delle risorse e la ripetitività dei modelli. Attraverso una ricerca costante, cerchiamo di offrire abiti personalizzati e su misura in una dimensione di scambio, integrazione e socializzazione»: a prendere la parola è Alessandra, figlia di uno storico commerciante barese, cresciuta a pane e stoffe pregiate, una giovane donna che a 12 anni sapeva fare il nodo della cravatta in tre modi diversi e che oggi fa politica non nei partiti ma nei movimenti. «Ho fatto parte del movimento femminista “Non una di meno” per accendere i riflettori sul dramma della violenza sulle donne, sono attivista dello spazio di mutuo soccorso Bread&Roses e collaboro con lo sportello per i migranti di Villa Roth».

Alessandra inoltre lavora a maglia e all’uncinetto da quando aveva 15 anni. È l’amministratrice della società, della quale fanno parte Sara, che fa pure la commessa part-time in un negozio di abbigliamento, e Concetta Ancora, 31enne laureata in sociologia. Dicono: «Il nostro obbiettivo è quello di realizzare accessori e abbigliamento handmade a basso impatto ambientale per contrastare il fenomeno della "fast fashion". Ci rivolgiamo a piccole e grandi aziende locali chiedendo loro gli scarti tessili con i quali realizziamo i nostri capi unici, puntando sempre sulla qualità delle materie prime impiegate, per lo più filati naturali, e sull'unicità dei prodotti. Il traguardo non è soltanto la ri-generazione delle materie prime ma anche la ri-generazione delle relazioni umane, delle fusioni e contaminazioni tra culture diverse. Lo stile Chari è caratterizzato da linee semplici ma decise, da un’attenta ricerca dei materiali, durevoli nel tempo, che vengono accostati in modo originale e creativo dando libero sfogo ad esplosioni di colore».

Nel futuro c’è l’utilizzo di canapa e bambù nel tentativo di educare la clientela a un consumo etico. «Ci si può vestire - spiegano le imprenditrici - senza farsi del male e a basso impatto ambientale. Vogliamo anche valorizzare le competenze strutturando la nostra produzione attraverso l’assunzione di un ragazzo straniero. Per noi l’artigianato è il recupero delle tradizioni, ma per stare sul mercato, e quello che vogliamo conquistare è quello italiano, non si può prescindere dallo studio e dall’esperienza».

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