Il mondo invisibile

Bari, il ritorno dei senzatetto, tra coperte e cartoni: giaciglio in Piazza Moro

Marco Seclì

La storia di Raphaili che da dieci giorni dorme sotto un portico vicino la stazione

BARI - Gli occhi azzurri rimandano il colore del mare della sua Agadir, la perla del Marocco cullata dalle onde dell’oceano Atlantico. E quando si alza dal giaciglio di cartoni e coperte sdrucite puoi immaginare di trovarti di fronte a un principe berbero dei «rifiani», l’etnia dagli occhi chiari e dai capelli rossi.
Ma la vita di Raphaili Maaraf, così dice di chiamarsi, è quanto di più lontano dai personaggi dei film sugli eroi del deserto. Da dieci giorni dorme sotto un piccolo porticato, in piazza Moro, davanti all’ingresso di un bar chiuso da alcuni mesi. «Non ho più un lavoro, non ho soldi, non posso pagare la pigione», dice quasi scusandosi di offrire ai passanti questa vista di sé.

LA STORIA Raphaili, 45 anni, ha lasciato il Marocco quattro anni fa. Ha abbracciato la moglie, i tre figli di cinque, sette e nove anni ed è partito in cerca di fortuna. Uno dei tanti «migranti economici». Un barcone strapieno di passeggeri come lui lo ha portato in Italia. La Sicilia il primo approdo, poi Napoli, infine la Puglia.
«Mi sono stabilito a Fasano e ho fatto il commerciante ambulante. Giravo per strada a vendere la mia merce, un po’ di tutto», racconta. Da Fasano raggiungeva anche altre località. «Spesso lavoravo a Brindisi, d’estate mi spostavo in diverse marine, poi Barletta, Foggia, la provincia di Bari».
I soldi guadagnati servivano per pagare l’affitto della stanza e per mangiare. «Quando restava qualcosa la spedivo alla mia famiglia in Marocco».
Vita grama, ma con dignità. Fino a quando un problema di salute ha ulteriormente complicato le cose. Raphaili non sa spiegare la malattia che lo ha colpito. «Avevo continui dolori all’addome, al torace, così sono finito in ospedale. Adesso sto meglio ma devo continuare a prendere le medicine», dice indicando una busta piena di scatole di farmaci. Risultato: «Non ho più potuto lavorare e, finiti i soldi, sono stato costretto a lasciare l’alloggio».
Ha preso un treno per Bari. Uscito dalla stazione, ha trovato riparo sotto quel portico dove si trova ormai da dieci giorni. Qui Raphaeli è diventato un «invisibile». Uno dei senzatetto che da qualche tempo sono tornati a fare capolino in città.

TORNA L’EMERGENZA A pochi metri, all’ingresso della rimessa auto di un palazzo, un altro giaciglio di fortuna ospita un clochard. Raphaili dice di aver parlato con qualcuno, forse qualche volontario di enti che si occupano di assistere i senzatetto. «Ho chiesto ospitalità, mi hanno risposto che i posti letto erano al completo e che avrei dovuto aspettare una settimana...». Raphaili è alto di statura e avrà avuto una «costituzione forte», secondo la definizione che viene data ai berberi rifiani. La malattia e gli stenti l’hanno minata. Lui spera di riprendersi, di tornare presto a lavorare. «Piano piano, piano piano...», ripete mentre alza gli occhi al cielo.
Nell’attesa che le forze ritornino, si compra qualcosa da mangiare grazie agli spiccioli offerti da chi si accorge di lui. Non è abituato alla legge della strada, si meraviglia della generosità di qualcuno e si stupisce della cattiveria di altri. «Una signora mi ha regalato un paio di scarpe, scarpe nuove da 40 euro! Una notte me le hanno rubate. Ma come si fa a rubare a uno come me, che dorme sopra i cartoni, come si fa?», esclama.
Gli spiccioli dei passanti gli servono anche per chiamare il Marocco. «Sento la mia famiglia una volta alla settimana, sanno che sono stato poco bene, ma non che mi sono ridotto così». Nessuna tentazione di elemosinare per comprare alcol o droga. «Mai - assicura - sono musulmano, la mia religione me lo proibisce».

IL PROBLEMA La temperatura inizia ad abbassarsi e presto dormire all’addiaccio diventerà un problema ancora più serio, specie per chi come Raphaili è reduce da una degenza in ospedale. Anche se oggi per lui l’emergenza è un’altra: «Voglio lavarmi, ho bisogno di fare una doccia, non ne posso più».
Un passante gli lascia una «mancia» più generosa. «Quello che hai dato a me, che sono in difficoltà, Dio domani te lo restituirà per tre volte», ringrazia.
In ebraico, Raffaele significa «Dio guaritore»; in arabo l’etimologia del nome è la medesima. Raphaili oggi sogna un letto e una doccia calda. Guarire sarebbe più facile.

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