Michele amoruso
Bari, la seconda vita del killer del clan: da ergastolano a detenuto modello, chiede semilibertà
La sentenza della Cedu riapre il dibattito
Michele Amoruso aveva 24 anni quando le porte del carcere si spalancarono per accoglierlo. Era il 13 dicembre 1996. Ferocissimo, Amoruso, a dispetto del suo aspetto da bambolotto. Condannato all’ergastolo per mafia e omicidi: di ragazzi della sua età ne avrebbe uccisi parecchi in quella guerra che negli anni Novanta ha insanguinato Bari.
Nel 2018 il suo avvocato, Francesco Maria Colonna, ne chiede la semilibertà. Codici alla mano: ha già trascorso in cella 22 anni di vita, aggiungiamo 3 anni di indulto (il decreto del presidente della Repubblica emesso nel 2006), in più è un detenuto modello, ha partecipato ai progetti di recupero del Ministero e lavora regolarmente per un’azienda di arredamento: in carcere lavora il legno destinato all’imbottito. Ma la legge dice che un mafioso, se non decide di pentirsi, è mafioso per sempre e dunque non può avere sconti detentivi di nessun tipo. L’avvocato Colonna, nell’istanza presentata al Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, spiega tuttavia che Amoruso apparteneva a un clan scomparso, quello riconducibile alla famiglia Laraspata. Di più: all’estinzione del clan hanno notevolmente contribuito gli stessi Raffaele e Tommaso Laraspata, i fratelli a capo dell’organizzazione che decisero di collaborare con la giustizia nel lasso di tempo intercorso tra l’arresto e l’udienza preliminare. «Quale altro e più consistente contributo avrebbe mai potuto dare il mio assistito per smantellare un clan già smantellato dal proprio vertice?». Questa l’altra obiezione proposta dall’avvocato Colonna nella richiesta di semilibertà per Michele Amoruso, che di fatto ancora sconta l’ergastolo in un carcere calabrese.
Ovviamente l’istanza è stata ritenuta dai giudici della Sorveglianza «inammissibile». «Eppure, in quell’atto, ho sostenuto la stessa tesi della Corte europea per i diritti dell’uomo, la cui decisione fa oggi gridare allo scandalo tanti giuristi italiani», spiega Francesco Maria Colonna che insiste su alcuni principi fondamentali. La pena scontata all’interno di un carcere deve avere sì un aspetto punitivo ma anche un profilo «restaurativo» della personalità. A maggior ragione se in carcere ci sei finito che avevi poco più di 20 anni. Dopo circa 30 anni «devi avere la possibilità di recuperare la fiducia della società, anche se hai commesso dei reati gravissimi» spiega Colonna che si prepara ora, anche alla luce del verdetto europeo, a riformulare l’istanza di semilibertà per Michele Amoruso.
Stessa richiesta potrebbe presto giungere ai magistrati di sorveglianza per Cosimo Laraspata, cugino di Tommaso e Raffaele, altro assassino senza scrupoli: in carcere dalla metà degli anni Novanta, detenuto modello, ha anche preso una laurea in Giurisprudenza.