Serie B

«Bari, serve cambiare tanto». L'ex Angelozzi vara la linea dura

pierpaolo paterno

L'attuale direttore sportivo del Cagliari fotografa la situazione in casa biancorossa: «Ho le mie idee, se le cose non vanno scelgo di rinnovare il più possibile»

La partita contro l’Avellino potrebbe essere stata l’ultima chiamata in biancorosso per tanti degli effettivi a disposizione di Vincenzo Vivarini. Sette vittorie in 37 partite ufficiali per un 2025 da dimenticare sia nella prima che nella seconda parte dell’anno solare. Numeri che fanno il paio col rendimento insufficiente di molti dei calciatori tesserati. Diversi dei quali, alla resa dei conti ad una giornata dal giro di boa del campionato attuale che chiuderà i battenti del girone di andata con la sfida post Epifania di Carrara. Il momento dei bilanci e probabilmente dei saluti per alcune delle risorse tecniche più infruttuose di un organico già di per sé ridotto maluccio in fatto di potenzialità individuali e, soprattutto, assieme di una squadra mai realmente decollata sul piano del gioco e della personalità.

Il calciomercato invernale, al via il prossimo 2 gennaio, consentirà all’area tecnica barese, guidata ancora dal duo Magalini-Di Cesare nonostante i tanti e gravi errori commessi sinora - vedrà diversi profili con le valigie in mano. O, comunque, con un rapporto da discutere per comprendere se proseguire insieme o se dividere delle strade che - fatti alla mano - non si sono mai proficuamente incrociate. Sull’uscio della porta al passo d’addio si presentano a braccetto il capitano Francesco Vicari, il suo compagno di reparto Nikolaou ed il barese doc Anthony Partipilo giunto in prestito dal Parma con ben altre aspettative. Per lui, appena undici spezzoni di gara in campionato, per 393’ giocati e nessun gol all’attivo. Terzetto “rinforzato” dagli attaccanti Antonucci e Cerri. Sempre in retrovia, il reparto più ammaccato sinora visto all’opera (difesa colabrodo tra le peggiori della B con Mantova e Pescara), molto male anche Kassama e Burgio.

Discorso a parte per Pereiro, reduce da dieci mesi di una pochezza disarmante. Trequartista uruguaiano utilizzato col contagocce sia da Caserta che da Vivarini: 9’ a Venezia e 13’ col Padova. E per il danese Christian Gytkjaer, tre gol contro Virtus Entella, Cesena e Spezia in 14 gettoni di presenza nessuno dei quali - tranne a Bolzano, contro il Sudtirol - per interi 90’. In mezzo serve altro rispetto alle banali geometrie di Verreth e Braunoder. Lo stesso operato di Vivarini, in sella dal 29 novembre in subentro all’esonerato Caserta, andrebbe messo in discussione non avendo cambiato il passo ad un gruppo in balia delle onde: col tecnico abruzzese cono arrivati 4 punti in 6 partite, l’attacco è rimasto sterile e la difesa continua a fare acqua da tutte le parti. Il risultato è un Bari invischiato nei playout con la prospettiva nebulosa di una seconda parte di regular season tutta in salita.

Dallo scorso giugno, nuovo direttore sportivo del Cagliari, Guido Angelozzi fotografa la situazione generale del suo ex Bari, realtà in cui ha lavorato dal 27 maggio 2010 in sostituzione di Giorgio Perinetti e per il quadriennio sino al primo fallimento del club del 2014. L’anno scorso, alla guida tecnica del Frosinone consentendo ai ciociari di raddrizzare una stagione destinata verso il baratro.

Direttore, in tutto 2025 il Bari ha ottenuto sette vittorie in 37 partite e finendo stabilmente in zona playout. Quali errori di valutazione tecnica riconosce nella costruzione dell’organico e in quali reparti ritiene che il club abbia sbagliato di più?

«Seguo il Bari a distanza, quando posso vedo qualche partita. In maniera compatibile con gli impegni del Cagliari. In genere, monitoro sempre le squadre dove ho lavorato in passato. I numeri sono veritieri. Quando si analizzano quelli dei biancorossi, si vede che si sono vinte poche partite. C’è qualcosa che non va. Un’annata parte male. Per aggiustarla diventa sempre più difficile. L’anno scorso partimmo male col Frosinone. Era la stessa squadra che oggi lotta per salire in A. Lottammo per non retrocedere e alla fine ci salvammo per il rotto della cuffia. Un’annata maledetta».

Molti calciatori sembrano arrivati al capolinea del loro percorso in biancorosso. Cambiare tanto a stagione in corso è più un rischio o una necessità obbligata per evitare un epilogo sportivamente pericoloso?

«Sul piano personale, parere mio, se vedo che la ruota non gira cerco di cambiare il più possibile. Se in diciotto partite non si è riusciti a cambiare il trend, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Io cercherei di fare l’impossibile per cambiare il percorso intrapreso. A Frosinone, a gennaio, cambiai sette giocatori. E i risultati furono buoni. Ci vuole coraggio. Soprattutto, quando ci si rende conto di aver sbagliato. Non serve ostinarsi sulle proprie posizioni. I dirigenti devono essere bravi a capire che nella costruzione si è sbagliato qualcosa e che è ancora possibile porre dei rimedi. Anche a costo di fare delle rinunce. Nell’organico, non esistono senatori. Esiste la squadra. Conta solo il bene del club. Un professionista deve ragionare con la testa del club dove lavora».

Bari con la difesa tra le peggiori del campionato e attacco sterile. È un problema di uomini, di scelte fatte in estate o di un’idea tecnica che non ha mai trovato riscontro sul campo?

«Quando si parte male, non è facile rialzarsi. Ci potrebbe essere un problema di rosa. Dall’esterno è difficile esprimere delle valutazioni e giudicare. Non posso sindacare rispetto a quello che succede a Bari. Certe situazioni vanno vissute dall’interno».

Dall’avvicendamento Caserta-Vivarini non è arrivata la svolta auspicata. Il progetto tecnico resta solido o anche la guida della squadra è oggetto di riflessione in vista della seconda parte del campionato?

«Resta da comprendere se il cambio di allenatori porti o meno i suoi frutti. Se al cambio di tecnico non si riesce ancora ad ottenere dei risultati, ad avere la scossa che tutti si aspettano, vuol dire che ci sono difetti strutturali della squadra. Tocca all’area tecnica biancorossa comprendere quanti e quali errori sono stati commessi».

Come ds di grande esperienza, ci sono profili in C pronti a salire di categoria? Per salvarsi, serve gente che lotta, abituata a lottare e ad un calcio sporco.

«Non faccio il direttore sportivo del Bari. Ognuno di noi ha un proprio modus operandi. Per quanto mi riguarda, la categoria di provenienza non fa alcuna differenza. In A, B o C, se un giocatore vale è bravo ovunque. Al contrario, se non è all’altezza ha difficoltà in tutti i campionati. Dipende da cosa uno vuole. Chi lavora in una società, conosce le problematiche interne. Sa bene cosa ha fatto e cosa ancora andrà fatto. Bisogna farsi un esame di coscienza, perché può capitare di fare delle valutazioni erronee. Ora c’è un mese di mercato, tempo propizio per rimediare agli errori commessi».

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