La riflessione
La riforma della giustizia e la solitudine della ministra
La premessa non è un mistero: ce la chiede l’Europa per accedere ai fondi del Recovery. E quindi bisogna fare presto
Esistono due condizioni in cui è molto facile sentirsi soli: nel silenzio di una stanza o nel frastuono assordante di una qualche bolgia dantesca. La seconda è peggiore della prima perché dà l’impressione che tutti partecipino alla sorte comune mentre in realtà si è immersi solo in un caos di monadi, ognuna per sé e Dio, se esiste, per tutti.
Deve sentirsi pressappoco così il Guardasigilli Marta Cartabia nella via crucis che accompagna la nascita della tanto sospirata riforma della Giustizia. La premessa non è un mistero: ce la chiede l’Europa per accedere ai fondi del Recovery. E quindi bisogna fare presto. Ma la chiede, per una volta, anche la realtà dei fatti, ferita a morte da processi interminabili, pene mai certe, giudici screditati e scandali che si susseguono incessanti. Quindi bisogna farla pure bene. Presto e bene, da manuale una pessima combinazione di intenti.
Non bastasse il peso ciclopico della faccenda, ecco andare in scena il caravanserraglio italiano in tutto il suo chiassoso splendore. Lega e Radicali hanno deciso di prendere a frustate la situazione con una sorta di gatto a sei code, quanti sono i quesiti referendari promossi dai due movimenti. Non un attacco frontale alla riforma, certo, come gli interessati sottolineano in modo inesausto da settimane, ma un bella mina antiuomo piazzata lungo il percorso che proprio a quella riforma porta.
Uno strappo, una spallata che chiama a raccolta le masse invocando, di fatto, la bocciatura popolare delle toghe. Nell’era di Palamara e compagni, praticamente un gol a porta vuota.
L’Associazione nazionale magistrati l’ha ben compreso ma invece di giocarsela di fino ha sparato a palle quadre accusando Lega e Radicali di voler sottoporre al pubblico linciaggio un’istituzione che dovrebbe essere sempre sottratta all’ira delle masse. Una mossa saggia? No, pessima. Perché quella che nasce come autodifesa legittima diventa immediatamente autotutela di casta e, per giunta, di una casta la cui reputazione è ai minimi storici. Ha ragione chi giudica la sortita dell’Anm come il più grande spot per il referendum che potesse andare in scena. Se la chiamata alle armi dei referendari è un gol a porta vuota, questo è un autogol in rovesciata all’incrocio dei pali. Roba da cineteca delle papere. Intanto, però, un altro pozzo è stato avvelenato.
Basta? No di certo. Perché se questa battaglia ha dei perimetri circoscritti, la contesa capitale è invece larga, larghissima. Lo ha messo bene a fuoco lo scrittore ed ex magistrato Gianrico Carofiglio in una recente intervista alla Gazzetta individuando nel conservatorismo delle corporazioni e nei veti incrociati dei partiti il vero nemico allo sviluppo di una buona riforma. Se condiamo l’insalata anche con una congiuntura storica in cui al governo c’è di tutto di più, dai giustizialisti incalliti a pretoriani del garantismo, ecco che il piatto non può che finire di traverso.
C’è addirittura chi dice che l’esecutivo Draghi potrebbe spaccarsi proprio sulla giustizia. Difficile, se non impossibile. Così come è impossibile che una qualche riforma non vada in porto. I soldi in ballo sono troppo preziosi per tutti. Il risultato, quindi, rischia di essere quello di un modesto compromesso all’italiana, con una bianca verniciatura delle periferie mentre qui bisognerebbe buttare giù i palazzi e ricostruirli.
Eccola, dunque, la solitudine di Marta Cartabia impegnata, in modo fin troppo prudente, a portare la croce scansando le macerie al suolo e le bombe che piovono dal cielo della politica e delle corporazioni. Ed è una solitudine beffarda perché la bolgia, qui, è piena di applausi scroscianti, di complimenti, di inchini deferenti. Quando si tratta di buttare la palla in tribuna non c’è nessuno che esiti ad affidarsi a lei: «Abbiamo fiducia nella ministra». Che, a volte, suona un po’ come l’avere fiducia nella magistratura. Frasi fatte a favor di telecamera. Dietro le quinte, invece, impera il caos. C’è chi grida e c’è chi è solo.