l'Editoriale
Una comunità intellettuale chiamata «Gazzetta»
Cari Lettori, è stato davvero un privilegio aver potuto dirigere un quotidiano così radicato sul territorio
Cari Lettori, è stato davvero un privilegio aver potuto dirigere un quotidiano così radicato sul territorio tanto da potersi identificare con due regioni: Puglia e Basilicata. Credo che ciò rappresenti un unicum nell’intera stampa nazionale. Infatti. La Gazzetta e i suoi Lettori hanno dato vita, giorno dopo giorno, in 133 anni, a una vera e propria comunità umana e intellettuale. Una comunità umana e intellettuale a difesa dell’interesse generale solitamente assediato dagli interessi particolari e dalle varie confraternite del Potere sempre all’opera.
È stata davvero singolare la parabola vissuta dai giornali. Più si svecchiavano e si aprivano al mondo, più perdevano quel tasso di ministerialismo e provincialismo che ha caratterizzato la fase iniziale dell’informazione in Italia, più però (sempre i giornali) hanno dovuto affrontare le criticità e le insidie prodotte dall’invasione di un nuovo temibile concorrente: Internet. Un mezzo comunicativo che ha trasformato ogni smartphone in un’edicola tascabile. Una novità che impone ai quotidiani, a quelli decisi a non arrendersi, l’obbligo di una rivoluzione permanente, al cui confronto il proverbiale slogan trotzkista sbiadisce come l’inchiostro.
I giornalisti del nostro quotidiano hanno sempre respirato aria di libertà. A cominciare da quando il giovanissimo Martino Cassano (1861-1927) creò il Corriere delle Puglie nel lontano 1887. Persino negli anni della censura fascista qualcosa sfuggiva alle lenti degli occhiuti controllori di regime. Tutto merito dei resistenti occulti, dei piccoli Pereira, che si erano formati sui testi di Benedetto Croce (1866-1952) e di Gaetano Salvemini (1873-1957) e che poi scrivevano, da par loro, sulla Gazzetta.
La libertà, come la ricerca, non ha fine. Così come non ha fine l’ossessione per la verità, che deve rappresentare la missione (pressoché esclusiva) di un vero giornale.
La Gazzetta, attraverso i suoi editori, i suoi direttori, i suoi giornalisti, i suoi poligrafici, si è sempre ispirata a questa filosofia: quella di contribuire al rilancio del Mezzogiorno allargando i margini di libertà politica, economica, sociale. In una visione europea, mai provinciale, mai protezionistica, mai corporativa.
La lezione e lo stile di Aldo Moro (1916-1978), un leader che, è noto, aveva un rapporto particolare con il quotidiano della sua terra, hanno giovato assai: nessuno deve essere escluso, il tasso di civiltà di una realtà umana è direttamente proporzionale al suo spirito di inclusione, mai di esclusione. L’Europa, insegnava Moro, dev’essere il baluardo e il fine di ogni cosa. Altrimenti si rischia di rivivere le tragedie del passato.
Il radicamento di una testata pluralistica come La Gazzetta, attenta a tutti i germogli di una società, e mai cattedratica nei confronti di qualcuno, è figlio di questo humus culturale, fatto di tolleranza e pluralismo, di aperture al nuovo e di riflessioni sul vecchio.
La redazione ha sempre vissuto in questo clima, indipendentemente dalle direzioni che si sono susseguite. E se oggi nonostante la crisi dell’editoria di carta, un giornale come la Gazzetta vanta 500mila lettori al giorno, il merito è di quanti, nei decenni, hanno saputo creare e incrementare questo incommensurabile patrimonio di credibilità.
La credibilità è tutto nella vita, anche o soprattutto nell’era della comunicazione usa e getta. E questo giornale possiede una credibilità, un brand, come usa dire, più forte di ogni rovescio. E di ogni pandemia. Del resto, come osservava Winston Churchill (1874-1965), un uomo non vale per i soldi che ha, ma per il credito di cui gode. E la Gazzetta, per parafrasare le parole del gigante inglese, ha credito da vendere. Presso l’opinione pubblica e presso le istituzioni. E ciò grazie soprattutto a voi, amici Lettori, veri sovrani del giornale.
Certo, la pandemia ha sortito l’effetto di uno tsunami sulle vendite di tutti i giornali. Tra cui il nostro. Ma il bello di ogni crisi è che si accelera il senso, e il gusto, della sfida, sfida che oggi vede la nuova Gazzetta in prima linea sul web, al servizio delle nuove generazioni, dei nativi digitali meno sensibili al fascino della carta.
Cari Lettori, sicuramente potevo fare di più e meglio. E di questo vi chiedo scusa. Né voglio ripercorrere come attenuanti le drammatiche vicende - hanno colpito nella carne viva i colleghi giornalisti e poligrafici - che hanno contrassegnato la storia della Gazzetta, a partire da settembre 2018, e che tutti voi conoscete. L’intervento del Gruppo Ladisa ha scongiurato la chiusura del giornale.
Ho avuto la possibilità di fare informazione con colleghi di elevatissima capacità professionale. Per merito loro la Gazzetta, da finestra sulla realtà circostante si è trasformata in una sorta di sindacato di territorio, ruolo che più si addice a un giornale pluriregionale. Basti ricordare la campagna per la parità ferroviaria tra Nord e Sud e tra Tirreno e Adriatico; la denuncia dello scandalo del binario unico tra Puglia e Molise, dopo 160 anni di unità nazionale. Basti ricordare la battaglia per le infrastrutture, la battaglia contro l’autonomia differenziata che rischiava di rimandare il Sud nel Mediterraneo più profondo e di spappolare l’intero Paese.
È cambiato il mondo dell’informazione, sono cambiate le abitudini e le attese di cittadini e lettori. Una sola cosa però risalta oggi con più forza di ieri: la necessità di un prodotto informativo che sappia fare la differenza, rendendo doveroso il suo acquisto. Nelle edicole tradizionali. E in rete.
E anche su quest’ultimo fronte i colleghi sono pronti a tutte le nuove sfide. Non voglio dilungarmi, anche perché troppi pensieri si rincorrono e si sovrappongono col rischio di complicare un articolo che doveva partire da una notizia: il passaggio del timone all’amico e collega Michele Partipilo, finora capo dell’ufficio del redattore capo centrale, cui va il mio grazie più profondo per la collaborazione, la lealtà, l’impegno dimostrati in questi 13 anni di direzione.
Ps. Infine. Perdonatemi una digressione personale, che poi tanto personale non è: la tutela legale dei giornalisti e del direttore di una testata. Quando si verificano eventi traumatici (fallimenti...) come quelli verificatisi in questi anni alla Gazzetta, può capitare che a farne le spese, sul piano sostanziale, siano i giornalisti, e in particolare il direttore, vittima, quest’ultimo, di un mostro giuridico (la responsabilità oggettiva) che, tra l’altro, contrasta il principio giuridico della responsabilità personale. Come si fa a controllare fino all’ultimo rigo un giornale che, con tutte le edizioni, arriva fino a 160-170 pagine quotidiane? In soldoni: come si fa a sapere come sono andati i fatti se non si possiede il dono divino dell’ubiquità e dell’onniscienza?
Eppure la direzione uscente di un giornale, e oggi di questo giornale, rischia di pagare cara, molto cara, una disposizione che risale alle leggi fascistissime (1925) varate da Benito Mussolini dopo il delitto Matteotti (1924). E’ opportuno che si intervenga subito sulla materia dei risarcimenti civili derivanti dalle cause legali, frequenti nell’attività giornalistica. È opportuno che la stessa categoria dei giornalisti, la Fnsi e l’Ordine si mobilitino al massimo per evitare che questo bellissimo mestiere, non solo per le figure apicali, si trasformi in una maledizione, in un incubo a tempo indeterminato.