L'analisi

Intervento straordinario per tutelare l’informazione

Giuseppe De Tomaso

L’editoria e i giornali in particolare hanno bisogno di un Intervento Straordinario ad hoc, come venne deciso da Alcide De Gasperi (1881-1954) a favore di tutto il Sud attraverso la creazione della Cassa per il Mezzogiorno

Non bisogna lasciare indietro nessuno. Non c’è riunione, non c’è convegno, non c’è intervista, non c’è discorso che non si concluda con questo proposito-proclama. Appunto: non bisogna lasciare indietro nessuno. E ciò in ossequio al principio-obiettivo della società inclusiva - premessa per ogni democrazia stabile e condivisa - che mai come oggi, in piena pandemia, non può essere disatteso.

Ecco perché abbiamo letto con piacere le parole del sottosegretario all’editoria, il lucano Giuseppe Moles, che, ieri in un’intervista a Libero, nel prefigurare interventi e risorse per il settore di sua competenza, ha indicato nell’editoria, nella comunicazione e nella buona informazione «i pilastri di una vera democrazia liberale». E pronunciata da un liberale doc, com’è Moles, questa affermazione contiene un valore particolare.

E’ così. Le democrazie non possono permettersi una stampa claudicante o declinante. Non se lo possono permettere perché solo una stampa libera e in buona salute garantisce la sopravvivenza del sistema politico che ha sottratto milioni e milioni di persone alle forche caudine delle dittature autoritarie e dei totalitarismi. Se la corretta informazione, per le ragioni più varie, dovesse arrendersi di fronte all’exploit esclusivo dei nuovi strumenti comunicativi, che stanno alla democrazia come Donald Trump sta alla buona educazione, faremmo prima a farci il segno della croce sperando solo nell’intercessione del Padreterno.
Non è un caso che il numero delle democrazie nel mondo, da dieci anni, stia diminuendo. Non è un caso che questa tendenza si sia rafforzata in coincidenza con la progressione ulteriore di Internet e con la regressione costante dell’informazione tradizionale. Forse il nesso di causa ed effetto non è avvertito da tutti. Forse è ancora presto per trarre conclusioni definitive. Sta di fatto, però, che oggi lo stato di salute di molte democrazie non è quello di un velocista fresco di medaglia d’oro alle Olimpiadi, semmai somiglia a quello di un atleta infiacchito dal Coronavirus.

Chi coltivasse seri dubbi sui pericoli che corrono le libertà costituzionali nel mondo, farebbe bene a leggere il saggio Come Internet sta uccidendo la democrazia del giurista Mauro Barberis. Un testo incalzante, più assordante di un grido d’allarme, sui possibili sviluppi, in senso totalitario, della democrazia internettiana. Basti pensare al protagonismo dei social, che stanno sostituendo le istituzioni canoniche. Ma le istituzioni classiche sono nate come dispositivi salva-razionalità, come strumenti in grado di placare le passioni, gli estremismi. I social, invece, è noto pure ai marziani, sono la sublimazione delle passioni (irrazionali), quanto di più insidioso per le democrazie che, invece, hanno bisogno di calmanti, non di eccitanti.
Allora. Le liberaldemocrazie rischiano di collassare per colpa degli smartphone? La tesi può sembrare più ardita di una sortita di Fabrizio Corona, ma quando le istituzioni contromaggioritarie, tra cui va annoverata l’informazione, cominciano a barcollare, tutto può succedere. Del resto, molti attuali dittatorelli in giro per il mondo, e molti democratici con ambizioni autoritarie, non avrebbero raggiunto nessun traguardo di potere senza l’uso spregiudicato della Rete e delle sue trappole.
Mario Draghi, l’altra sera, ha parlato senza se e senza ma. Ha detto che non è il momento di chiedere i soldi ai cittadini, semmai di darli, concetto ripetuto, a proposito dell’ editoria, anche dal sottosegretario Moles, il cui diretto superiore è proprio (e solo) il presidente del Consiglio.

L’editoria e i giornali in particolare hanno bisogno di un Intervento Straordinario ad hoc, come venne deciso da Alcide De Gasperi (1881-1954) a favore di tutto il Sud attraverso la creazione della Cassa per il Mezzogiorno, la cui opera, nei primi dieci anni, fu altamente meritoria. L’Editoria e la carta stampata hanno bisogno di un Intervento Straordinario sulla falsariga di quanto venne realizzato a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, quando pure la crisi dei quotidiani era meno grave, per gli effetti sulla tenuta del sistema politico democratico, rispetto alla situazione odierna.
Qualcuno potrebbe obiettare che andare contro il mercato equivale a tentare di fermare il vento. Non è così. Primo: il mercato non è un luogo senza regole, e se i giornali subiscono codici punitivi, saccheggi di natura piratesca e copiature degne dei più incalliti plagiatori, ci vuole un arbitro in grado di estrarre il cartellino rosso per sanzionare infrazioni e irregolarità. Secondo: la funzione democratica, il presidio di libertà assicurato dalla stampa - ma il ragionamento varrebbe per ogni istituzione di rango costituzionale - non ha prezzo. Per la difesa dei giornali si potrebbe mutuare dal presidente Draghi la celebre formula (Whatever it takes, traduzione: qualunque cosa serva) da lui adoperata (luglio 2012), in qualità di presidente della Bce, per salvare l’euro. Salvare i giornali, qualunque cosa serva.
Peraltro, se c’è un settore colpito dal Covid con la violenza di un pugno da ko, il primo pensiero va proprio all’editoria. Zone rosse nei comuni, edicole spesso chiuse, anziani costretti a restare a casa per timore dei contagi, limiti ulteriori alla circolazione di persone e auto. E la lista delle difficoltà e limitazioni potrebbe allungarsi a dismisura. Né potrebbe essere risolutivo il ragionamento di chi oppone la soluzione digitale: una larga fetta della popolazione non ha, diciamo, particolare dimestichezza con i nuovi strumenti tecnologici. Che facciamo? Non ne teniamo conto? Ignoriamo l’esigenza dei più anziani di informarsi attraverso la lettura tradizionale?
Ecco perché bisognerebbe soccorrere la stampa attraverso un autentico Intervento Straordinario, con finanziamenti diretti alle imprese editoriali e con sostegni massicci ai loro piani di ristrutturazione. Altrimenti, il pericolo di vedere svanire il ruolo di controllo democratico svolto dai giornali (autentici palinsesti, tra l’altro, per quotidiani tv, radio e Rete predatrice) si materalizzerebbe in tutta la sua drammaticità, con una nuova classe spregiudicati al potere, a cavallo di fanatismo e intolleranza. Una prece.

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