il commento
Repressione? No, serve solo il rispetto per gli altri
Le ultime ore di libertà dalla zona rossa si sono trasformate in una sfrenata fame di normalità
«Vivi come se dovessi morire domani». Parole di Gandhi, riconducibili al senso lieve della sua vita vissuta nella semplicità, nel silenzio, nel digiuno, nell'ascetismo. Altro che il baccanale visto ieri per le strade delle nostre città. L'ultimo giorno. Le ultime ore di libertà dalla zona rossa si sono trasformate in una sfrenata fame di normalità: shopping, aperitivi, passeggiate, incontri, gite al mare, abbracci e pacche sulle spalle. Tutti fuori, tutti insieme, «come se non ci fosse un domani».
L’inclinazione a infrangere le regole è roba da psicanalisi. E i commercianti, ieri, lo hanno spiegato bene: «Non è che con questa giornata potrò mai riprendermi dalla batosta di un anno». Però tutti (la gran parte) hanno scelto di rimanere aperti, come un rito collettivo di trasgressione: il tuffo in mare all'alba del primo gennaio, l'ubriacata con gli amici, la vacanza in cui fai cose che di norma non fai. L'incoscienza ha regnato sovrana. Scene da vigilia di Natale e scordiamoci il Covid almeno fino alla mezzanotte. Domani si pensa.
La sindrome dell'ultimodesiderio è stata un virus potente, e insidioso quanto quello che da un anno minaccia le nostre vite e altera le nostre abitudini. E lo sgomento nasce dallo scoprirci inconsapevoli dopo mesi e mesi di dolore, perché se è vero che a distanza di un anno dall'esplosione dell'emergenza siamo fermi esattamente nello stesso punto, diversa dovrebbe essere la nostra percezione delle norme di convivenza, ben sapendo che tra noi ci sono persone fragili esposte al rischio per colpa dei nostri comportamenti ottusi, superficiali e negazionisti, quelli che ci portano a consumare una delirante domenica tuttinsiemeappassionatamente invece di restare lontani il più possibile, seppur soffrendo. E non perché è scritto in un Decreto, piuttosto per le regole profonde ed etiche che dovrebbero appartenerci dopo un anno di lutti e di paura.
E con uno sconcertante presente fatto di terapie intensive di nuovo piene e pazienti perfino parcheggiati nei corridoi (come nel Policllinico barese)
Viceversa, nelle ultime ore di libertà provvisoria, abbiamo provato a fare tutto ciò che poi sarà proibito (il parrucchiere, i locali pubblici, il passeggio: cose decisamente vitali!) tanto che qualcuno si è posto la domanda: ma è zona rossa fino a questo 6 aprile o al 6 aprile dell'anno prossimo? Perché in effetti una ventina di giorni di «clausura» volano come un fiato.
Inevitabile tornare all'idea che solo un bravo terapeuta potrebbe correggere certi gesti con più efficacia delle forze di polizia. (A proposito: sabato sera a Bari altri 6.000 euro di sanzioni per gli irriducibili della movida...). «Ho capito che avevo molto bisogno del peccato», direbbe Hermann Hesse in tutt'altri contesti. Noi invece abbiamo bisogno di speranza - per avere indietro la sicurezza e magari anche la socialità - e di una virtù molto semplice e molto rara: il rispetto dell'altro.