L'analisi

Da 50 sindaci «sfida» a Draghi: dateci i fondi e il Sud riparte

Lino Patruno

Il neo premier dice che le amministrazioni meridionali devono essere irrobustite (come se fosse una loro colpa)? Ed ecco 50 sindaci scrivergli e rispondergli: noi siamo pronti

La carica dei sindaci del Sud. Mario Draghi dice che le amministrazioni meridionali devono essere irrobustite (come se fosse una loro colpa)? Ed ecco 50 sindaci scrivergli e rispondergli: noi siamo pronti perché non vogliamo arrivare impreparati all’appuntamento coi fondi del Recovery. Ma noi abbiamo meno dipendenti dei Comuni del Nord. E si sa che quei dipendenti nella maggior parte dei casi sono più anziani e meno pratici delle nuove tecnologie. Vogliono perciò assumere giovani collaboratori, proprio ciò che gli è stato impedito da fondi statali anche in questo caso sperequati rispetto al resto del Paese. Perché vogliono riportare nei loro Comuni i talenti andati via. Anzi prevedono un premio a chi tornerà.

E a chi critica sempre le classi dirigenti meridionali (anche se altrove non sono da Nobel), ecco la risposta di chi ogni giorno vede entrare nei propri uffici cittadini impauriti per il futuro dei figli. Sono sindaci di Puglia (in testa Davide Carlucci di Acquaviva), Basilicata, Campania, Molise, Calabria, Sicilia. E si sa che la maggior parte dei soldi europei andranno ai Comuni più che alle Regioni. Ma come potrebbero in condizioni per cui lo stesso Draghi ha detto che in passato la speranza in loro è andata delusa? Allora le si irrobustisca queste amministrazioni, altrimenti sarebbe facile (e sleale) dire che siccome non riescono a fare neanche un progetto, tanto vale passare tutto ad altri. Gli altri che si possono pagare il fior di consulenti a loro preclusi. Ecco perciò la lettera. Che proviene soprattutto dalle aree interne e marginali, quelle che fanno il settanta per cento del territorio italiano. Quelle che fra l’altro al Sud non si riesce neanche a raggiungere. Dateci un treno e risolleveremo il mondo. Come ha detto anche il sindaco di Bari, Decaro.

A cominciare dall’alta velocità che il Sud non può avere perché non spetta a tutti, perché ci sono due Italie. Ma che al Nord c’è anche grazie alle tasse pagate dal Sud. Decaro che come presidente dei Comuni italiani potrebbe dare una spinta all’appagamento delle attese del Sud non solo per le ferrovie che non ci sono. Un doppio binario che al Sud copre il 24 per cento delle linee e al Centro Nord il 60 per cento. Linee elettrificate che sono il 49 per cento al Sud e l’80 per cento al Centro Nord. E linea adriatica sulla quale bisogna arrivare a Bologna perché i Frecciarossa possano togliere il freno a mano. Una umiliazione. E battaglia nella quale la società civile meridionale si è coalizzata come mai in passato grazie alla fondazione «Isola che non c’è». Senti Elena Militello, 27 anni, palermitana, e dice che di questo vorrebbe parlare a Draghi. Elena è la fondatrice dell’associazione «South Working», quella che si ripromette di far rientrare al Sud appunto i giovani meridionali grazie al lavoro e allo studio a distanza. Racconta che quando era a Milano il viaggio in treno per Como, dove era dottore di ricerca, ci metteva fra i 35 minuti e un’ora.

Oggi da Palermo ci vogliono 3 ore e 15 minuti per arrivare a Catania, e 4 ore per Messina. Insomma chi torna (e finora lo hanno fatto in centomila) rischia di trovare più o meno immutate le condizioni che li hanno costretti ad andarsene. Quelle che quasi sempre vengono rinfacciate al Sud che le subisce. Per tutte queste ragioni con 209 miliardi l’Europa ha concesso all’Italia la quota più alta del Recovery fra i Paesi membri. Perché il Sud è mantenuto in condizioni che minacciano il motivo stesso dell’esistenza dell’Unione. Mentre, dopo il Movimento per l’Equità territoriale e la Svimez, ora anche la Fondazione Bruno Visentini è arrivata alle stesse conclusioni sulla percentuale che spetta al Sud. Non meno del 68 per cento, all’incirca 150 miliardi. E uno studio dell’università Ca’ Foscari di Venezia accerta da parte sua che è la carenza di risorse a penalizzare i Comuni del Sud da «irrobustire».

Quindi non la cattiva amministrazione con la quale l’Italia si lava la coscienza sporca. Perché il fondo per i Comuni viene ancòra suddiviso non secondo le esigenze ma secondo la spesa storica che ha sempre avvantaggiato il Centro Nord. Così avviene che almeno la metà dei Comuni del Sud non ha fondi sufficienti per offrire servizi minimi ai suoi cittadini. E lo stesso ministero dell’Economia e la Banca d’Italia accertano che la maggiore responsabilità non è della famosa classe dirigente ma della meno famosa sperequazione. Così i primi 50 Comuni del Recovery Sud prendono carta e penna e mettono le cose in chiaro. Prima che a qualcuno non venga in testa di passargli sopra un tratto di penna dicendogli che, pazienza, ma siete brutti, sporchi e cattivi.

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