L'analisi

La via del diritto per risanare l’economia e il Mezzogiorno

Giuseppe De Tomaso

Draghi è un drago in economia. Ma, come già avvertiva Sturzo, l’economia da sola non basta per rimettere in forze una nazione

Riuscirà Mario Draghi a risollevare un Paese prostrato dall’emergenza sanitaria e dalla crisi economica? Se lo augurano gli italiani, se lo augura l’Europa. Le cancellerie europee non possono non manifestare soddisfazione per la squadra messa in campo dal trainer Draghi. Addio sovranismo. Addio propositi di rivalsa nei confronti dell’Unione. La composizione ministeriale non solo non annovera euroscettici, ma sembra orientata a sposare in pieno l’europeismo, quell’europeismo che ancora pochi mesi fa era peggio di una bestemmia in chiesa per qualche forza politica.
Riuscirà il governo Draghi a rianimare l’economia meridionale, la grande malata dell’Europa, per la cui guarigione è prevista una quota ingente dei 209 miliardi di nuovi fondi europei?

È la vera scommessa del governo, insieme al programma di rinnovamento ecologico affidato al neoministro Roberto Cingolani, che poi dovrebbe consistere nel rinnovamento tecnologico, perché solo dalle nuove tecnologie può arrivare la soluzione ai problemi ambientali, di certo non dai proclami nostalgici dell’arcadia, contrari alla crescita produttiva e alla civiltà moderna.
Draghi parte con una dote cospicua. A differenza del suo predecessore economista, Mario Monti, egli dovrà spendere, più che tagliare. Ma spendere, o meglio investire, non è facile, come dimostrano i quattrini non ancora utilizzati già stanziati dagli organismi comunitari. Nè è scontato che una montagna di quattrini sia di per sé una garanzia di sviluppo. Più che del capitale, lo sviluppo è figlio della conoscenza e delle buone istituzioni, tra cui il diritto occupa il primo posto.
Tuttora, anziché promuovere l’«impresa diffusa», gli aiuti al Sud hanno partorito, spesso, l’aristocrazia della pietà, i nababbi della povertà, come titolava il volume dello scrittore scozzese Graham Hancock. Traduzione: senza istituzioni al di sopra di ogni sospetto, gli aiuti aiutano chi li eroga, non chi li riceve. Il che, ovviamente, non accade per tutto il Sud, dal momento che il Sud, come già osservava Antonio Gramsci (1891-1937) non esprime un territorio indistinto.

Se i capitali fossero la chiave di volta esclusiva per il decollo del Mezzogiorno, il decollo sarebbe scattato da lunga pezza, alla luce della montagna di rimesse (in dollari, in marchi...) riversata, in più di un secolo, dai suoi migranti, nell’Italia meridionale. Se ciò non è avvenuto, lo si deve al fatto che al tradizionale e reazionario blocco agrario ha fatto seguito il blocco politico-amministrativo, anziché il modello imprenditoriale. L’industria non nasce (solo) dai capitali o dalle sovvenzioni, semmai dai progetti, dall’istruzione, dai buoni ordinamenti e dall’amministrazione onesta. Le sovvenzioni possono svolgere una funzione supplementare, di sicuro non inziale.

E così l’attività del ministro per il Mezzogiorno, che l’economista Marco Vitale , associa alla figura dell’antico vicerè spagnolo. Se il suo scopo è ottenere finanziamenti a iosa senza preoccuparsi del cosa fare e come investire, non è il caso di nutrire facili illusioni. Purtroppo solo negli ultimi anni il ministero per il Sud ha placato la voglia matta di sollecitare incentivi a pioggia, e ci auguriamo che la neoministra Mara Carfagna prosegua su questa linea. Nei decenni precedenti, invece, era andata diversamente, a dispetto di quanto notava l’economista filosofo Adam Smith (1723-1790): «Un uomo diventa ricco se impiega una moltitudine di manifatturieri, ma va in miseria se mantiene una moltitudine di domestici».
Ma se la classe politica del Sud tende a mutuare il modo di fare di una consorteria di intermediari, c’è poco da sperare nell’utilizzo e negli effetti di tutti i fondi, ordinari e straordinari. Altro che far concidere imprenditorialità e innovazione permanente. Il parassitismo assistenziale, spesso basato sul mercato dei voti, finisce per tradursi nell’unico mercato mai in crisi al Sud: la vendita dei voti, con le risorse pubbliche.

L’Italia è un grande Paese, che quasi sempre riesce a salvarsi quando tutti lo danno per spacciato. Merito, si fa per dire, del disordine creativo che contraddistingue la nazione di Dante (1265-1321). Ma il cocktail tra disordine creativo e parassitismo assistenziale può rivelarsi più esiziale di una goccia di polonio. «La produttività non è tutto - spiega l’economista Paul Krugman -, ma nel lungo periodo è quasi tutto. Per un Paese la capacità di migliorare il proprio tenore di vita nel tempo dipende quasi interamente dalla suia capacità di innalzare il suo prodotto per addetto». Già, ma come si può riuscire a coniugare parole e fatti? In un solo modo: investendo nel sapere, nell’istruzione. Che poi significa fare nuova impresa, visto che nell’impresa si realizza il processo di accumulazione del sapere pratico dell’uomo. Un motivo in più perché al Sud, la logica del cosa e del come debba prevalere sulla logica del quanto.

La politica è fatta di economia e viceversa, sottolineava don Luigi Sturzo (1871-1959). Tradotto alla vigilia del Recovery Plan: attenzione a non perpetuare il solito andazzo: elargire benefìci, proteggere interessi, difendere categorie. Servirebbe un mix tra imprenditorialità e responsabilità. Ma chi se ne cura? Ecco perché, gira e rigira, si torna al punto di partenza della nostra storia, al sistema di valori che deve rappresentare il vero patrimonio inalienabile di una comunità.
Anche questo dovrà essere l’obiettivo di Draghi: riconciliare economia e società, specie dopo le ultime docce fredde finanziarie.
Non sarà facile, ma Draghi si gioca il suo futuro sia come capo del governo sia come probabile prossimo presidente della Repubblica.
La sua équipe di governo costituisce un dosaggio ben calibrato tra tecnici e politici. Si spera soltanto che la curi funzioni, anche se sono dolorose le ferite da sopportare.
Draghi è un drago in economia. Ma, come già avvertiva Sturzo, l’economia da sola non basta per rimettere in forze una nazione. Senza un sistema amministrativo e un sistema giudiziario efficienti, non c’è ripresa che parta, specie nelle aree deboli.
Un’altra ragione in più per investire nel diritto, nella giustizia, forse la principale infrastruttura immateriale che incide su tutte le infrastrutture materiali.

Privacy Policy Cookie Policy