Il caso

Bari, lezione sessista all'Università: il Rettore «Chiedo scusa a tutte le donne»

Stefano Bronzini - Rettore Università di Bari

Dopo la sospensione del professore di Bioetica, Stefano Bronzini dedica alle donne i versi di Alda Merini

Il rettore è il rappresentante legale della Università, recita la legge e ribadiscono le norme, e si deve assumere ogni responsabilità. Anche la responsabilità di chiedere scusa. Sì, scrivo per chiedere scusa pubblicamente sulle colonne di un giornale, il nostro giornale, in giorni che dovrebbero essere di festa per la storica testata del territorio pugliese. Non è importante che, appena sono stato edotto dei fatti, abbia sospeso da ogni attività didattica e di ricerca nella nostra Università un cultore della materia, improvvidamente salito in cattedra e autoproclamatosi docente.

Non è di rilievo tanto più illustrare che il cultore della materia svolgesse le sue personali e prive di ogni scientificità considerazioni in un corso affidato ad una docente e non fosse in alcun modo affidatario del corso di Bioetica. Sono note al margine, inezie burocratiche e poco interessanti. Voglio chiedere scusa, invece, per quei concetti offensivi, gretti, lesivi e, dunque, pericolosi che offendono le donne e quindi tutta l’Università di Bari. Chiedo scusa perché quelle parole, per quanto personali e non condivise, sono state pronunciate su una piattaforma universitaria, in questi tempi virtuali vera e propria aula, sede dell’impegno e della dedizione di tantissime donne. Chiedo scusa in primis a loro ben sapendo che l’intera comunità universitaria barese è impegnata contro ogni forma di discriminazione. Voglio chiedere scusa - senza se e senza ma - perché in una stagione così anomala in cui alla scienza è affidato un compito tanto difficile, assistere ad un ritorno al medioevo è deprecabile e pericoloso. Chiedo scusa perché alla parità dei generi, quale punto di forza e di crescita, docenti, personale tecnico amministrativo e studenti, donne e uomini, vogliono e devono rivolgere ampia attenzione. Chiedo scusa perché quando una Istituzione di ricerca e formazione, qual è l’Università, permette a infauste ombre di celare il pregevole operato scientifico di tante donne vuol dire che qualcosa non ha funzionato.

Chiedo scusa, dunque, e mi impegno perché dovrà essere ancora più intenso l’impegno nel garantire i principi costitutivi di uguaglianza alla base del nostro statuto e della nostra costituzione. Chiedo scusa alle donne avendo contezza che il loro impegno e la loro tenacia, la loro sensibilità e intelligenza sono un elemento fondante e di ricchezza della nostra quotidiana attività istituzionale. Anche per tale ragione, chiedo scusa alle tantissime studentesse ben sapendo che il loro numero in costante crescita, per fortuna, e il loro impegno meritino, oltre al plauso, rispetto. Mi sia permesso di chiedere scusa ben sapendo che dovremo impegnarci con maggiore attenzione per smascherare ogni prevaricazione e combattere l’indifferenza. Lo ribadisco: il nostro dovere, quello dell’Università, è e sarà sempre indirizzato alla formazione, al progresso, al miglioramento della qualità della vita, quindi ad una costante sfida contro l’ignoranza per sconfiggere anche l’imbarazzante dilagare dei luoghi comuni. Chiedo scusa, dunque, perché quando si rappresenta una Istituzione si hanno onori e oneri. Non lo dimentico neanche adesso che potrei trincerarmi dietro un immediato provvedimento di sospensione. Sarebbe troppo semplice mettersi la coscienza a posto con un atto burocratico. È nel quotidiano impegno che si distingue l’avere la coscienza a posto dal fare di tutto per formare coscienze critiche, appunto aperte e libere nell’esprimere e militare tutta la propria indignazione verso ogni discriminazione. Anche per tale ragione, concludo con i versi preziosi e precisi di una poetessa che ha mostrato quanto straripante di intelligente, sensibile, colorata, complessa, struggente bellezza sia la vita al femminile. Alda Merini, appunto, una donna. Le sue parole sono anch’esse il mio modo per chiedere scusa.

A tutte le donne/
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso/sei un granello di colpa/anche agli occhi di Dio/malgrado le tue sante guerre/per l’emancipazione./Spaccarono la tua bellezza/e rimane uno scheletro d’amore/che però grida ancora vendetta/e soltanto tu riesci/ancora a piangere,/poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,/poi ti volti e non sai ancora dire/e taci meravigliata/e allora diventi grande come la terra/ e innalzi il tuo canto d’amore.

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