L'editoriale
Salviamo il Sud (E impariamo da Napoli)
Barricati ora per evitare il dopo. E mentre gli esperti litigano perché non sanno neanche loro cosa fare, tranne magari conquistarsi un posto in tv, noi lo sappiamo ma non sempre lo facciamo
La curva della paura. E i titoli:
Va tutto per il peggio e non abbiamo alternative se vogliamo sperare di salvare vite. E, chissà, il richiamo del Natale. Sperare. Barricati ora per evitare il dopo. E mentre gli esperti litigano perché non sanno neanche loro cosa fare, tranne magari conquistarsi un posto in tv, noi lo sappiamo ma non sempre lo facciamo. Mascherina e distanziamento, punto. Che non significa misurare il metro fra di noi. Ma significa ridurre all’indispensabile i rapporti sociali. Ridurre le occasioni in cui si è in tanti. Sapendo che questo è per ora l’unico vaccino. E che se non funzionerà andremo a sbattere, saremo come un Tir che va dritto contro un muro. Ricordando i camion di Bergamo che di notte si portavano i morti che non si sapeva dove mettere.
Non è terrorismo, è corda al collo. E’ autodifesa di civiltà per noi e per gli altri. Sapendo che la curva è esponenziale, corre a velocità crescente. Sapendo che lo stesso ministero della Sanità ritiene che quanto deciso non basterà. Sapendo anche che la Francia va verso la paralisi totale. Possibile pure in Spagna e Belgio. Che la Gran Bretagna è in parziale coprifuoco. E che anche in alcune regioni italiane le misure sono più severe che nel resto del Paese. Vano anche riempire adesso i talk show televisivi, i programmi stucchevoli a ogni ora e su ogni canale, con le accuse al governo. Su ciò che si doveva fare e non si è fatto pur sapendo che il virus sarebbe tornato. Come pure sull’estate da leoni che abbiamo passato. Impreparati in un Paese passato dall’inno nazionale sui balconi, alle campagne elettorali in sei regioni, alle categorie una contro l’altra invelenite.
Si chiudono cinema e teatri e perché no le chiese? (genialata di Veltroni). Si chiudono ristoranti e palestre e perché no gli stadi? Sapendo bene che ogni chiusura (e con quanto è costato adeguarsi dopo la prima) si porta dietro l’incubo di non poter più riaprire. Si porta dietro perdite di lavoro e rischio di miseria. Si porta dietro rabbia che finisce in piazza, benché il governo abbia stabilito risarcimenti tanto vasti quanto giusti. Ma sapendo anche che sarà un debito che il virus farà pagare ai nostri figli.
Solo la cultura può darci un futuro. I palcoscenici ci aiutano a non finire in un buco nero. Ma il sacrificio richiesto non dovrebbe essere considerato un atto sacrilego. E cultura non è a ogni costo, e vuol dire anche impegno al bene comune. Forse solo una fondazione pubblica come il Petruzzelli di Bari può continuare ad offrire spettacoli gratuiti in streaming. Lo fa anche l’Orchestra della Magna Grecia di Taranto coi suoi concerti. Più difficile per la prosa e complicato per il cinema dove non c’è abitudine di spettacoli pomeridiani. Né sembra concepibile in Italia l’illuminismo di uno Stato che invece di contributi a fondo perduto avesse finanziato spettacoli in sale vuote ma con collegamento da parte di chi avesse voluto. E la Rai, non è roba sua? E quanto a ristoranti e pizzerie, fino alle 18 (e con asporto dopo) ci si potrebbe organizzare in offerte speciali che spostino in avanti le serate messe al bando. Davvero nulla si può?
Ora che anche il Sud è nella bufera, inerte denunciare come ancòra una volta la sua sanità si ritrovi con mezzi e uomini platealmente penalizzati dalla politica delle