La riflessione
Questione sanitaria, battaglia politica
Perché in Italia, come in nessun altro Paese d’Europa, la partita del Covid è sempre meno sanitaria e sempre più politica
«Non c'è niente di più ingiusto del trattare situazioni diverse in modo uguale». Con queste parole il vicepresidente della Conferenza delle Regioni e presidente della Liguria, Giovanni Toti, ha riaperto di fatto un periodo di tensioni tra Stato e territori sulla gestione della nuova emergenza coronavirus.
Toti rivendica autonomia e responsabilità, il governo risponde picche «avvertendo» i governatori: «Con i numeri attuali della pandemia potete solo derogare in modo più restrittivo alle nostre norme». Tradotto - semplice - Roma nel nuovo Dpcm userà la linea soft, le periferie potranno solo indurirla, un po’ come hanno già fatto De Luca in Campania e Zingaretti nel Lazio.
Perché in Italia, come in nessun altro Paese d’Europa, la partita del Covid è sempre meno sanitaria e sempre più politica, soffrendo dello stesso male che ha distrutto i nostri ospedali. L’epidemia sta crescendo a ritmi vertiginosi. Solo in Puglia ieri si sono contati 196 nuovi positivi, numeri da lockdown per intenderci. Sta crescendo però anche la preoccupazione per la situazione economica e serve equilibrio, tentando di contenere il virus senza toccare attività e professioni, almeno fin dove è possibile. È vero pure che le Regioni, come riconosciuto dal governo, hanno il polso della situazione, con proprie task force epidemiologiche, esperti, consulenti d’oro. Insomma, se l’epidemia non è uguale ovunque, dovrebbe esserci ampia autonomia, anche se questa occorre «meritarsela».
Così appare pretestuosa la polemica sulle mascherine. Se il mondo scientifico litiga su tutto ma è convinto che coprirsi bocca e naso (bocca e naso, non mento, fronte o gomito) possa servire a contenere realmente i contagi, allora ben venga l’obbligo di utilizzarle sempre, con le eccezioni legate al buon senso. E non si capisce quali possono essere le «ingiustizie» di cui pure parlano alcuni presidenti di Regione. D’altra parte prevedere multe draconiane da 400 fino a 1.000 euro per i trasgressori, appare un’inutile dimostrazione muscolare se poi nessuno fa rispettare le regole. Meglio multe a tappeto ma più adeguate a una popolazione sempre più povera. La questione, come detto, è politica, in un Paese in cui prendersi per una volta le proprie responsabilità è «arte» inconcepibile.
La crisi sanitaria ha indubbiamente riproposto e continua a porre il tema di una forte innovazione dei meccanismi di «codecisione» tra Stato e Regioni, titolari di competenze legislative anche su materie come la tutela della salute, la cui ricentralizzazione rischierebbe di danneggiare più che migliorare l'efficienza dei sistemi territoriali, che pure poi non è tanto migliorata. Ed è evidente che se l'Italia da Paese più travolto dopo la Cina è diventato uno dei più sicuri vuol dire che il rapporto per il contenimento ha funzionato. Però è altrettanto evidente che il rischio di riprecipitare nell’incubo diventa sempre più concreto.
Occorre coraggio, appunto, ignorando il sempre presente lamento italico. Esempi: i ristoratori. Qualcuno al Sud teme una chiusura dei locali anticipata alle 23 «perché da noi si va a cena tardi», ma chiedere ai clienti di andarci un po’ prima, rispettare le norme e la capienza in sicurezza dei locali è tanto complicato? Si discute di stadi e teatri, come fossero reparti di terapie intensive. Si vietano le discoteche, ma restano aperte le scuole di ballo. Mentre basterebbe trovare un «equilibrio di convivenza» col virus, mettendo la salute dei cittadini al primo posto.
È chiaro che non è più possibile chiudere le attività economiche in modo generalizzato, non abbiamo più la forza per farlo, ma non abbiamo ancora - soprattutto al Sud - un'organizzazione sanitaria in grado di gestire meglio i contagi di una malattia di cui ancora si conosce poco o niente.
Allora utilizziamo e rafforziamo le regole, miglioriamo i comportamenti prevenendo e reprimendo, facciamo tutto quello che c'è da fare con mascherine e distanze, perché altrimenti, non si sfugge, presto occorrerà toccare l'economia vera, quella che crea ricchezza diffusa e non piccoli interessi personali. E allora saranno guai per tutti.