L'editoriale

Se un altro virus contagia le istituzioni

Michele Partipilo

Da oggi al 20 settembre vi sono 35 giorni in cui la pandemia potrebbe riprendere la sua corsa

Tre giorni fa la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati contro il referendum sul taglio dei parlamentari e ha così spianato la strada al cosiddetto «election day». Il 20 e il 21 settembre si dovrebbe votare quindi per confermare o bocciare la legge costituzionale sul numero dei parlamentari, per eleggere i presidenti e i relativi consigli di 7 sette regioni – Puglia compresa – e, infine, per i sindaci di un migliaio di Comuni. Si dovrebbe. Perché se da un punto di vista tecnico non vi sono più ostacoli, vi è una probabilità – bassissima, ma non nulla – che slitti per altre ragioni, ovvero per la seconda ondata del Covid.

Da oggi al 20 settembre vi sono 35 giorni in cui la pandemia potrebbe riprendere la sua corsa. Gli ultimi dati sono preoccupanti, visti i casi in progressivo aumento e a fronte di un minor numero di tamponi. A questo va aggiunto il fatto che i contagi rilevati in questi giorni sono in realtà avvenuti una settimana o 10 giorni fa, dati i tempi di latenza del virus. Quindi gli effetti di quanto sta accadendo in questo periodo, presumibilmente quello dei comportamenti più a rischio, li vedremo solo a fine settimana prossima.

In più c’è da considerare che a fine mese riprendono tutte le attività: si torna nelle fabbriche, i bus sono di nuovo super affollati, come le metropolitane e i treni dei pendolari. Tutte situazioni che potenzialmente fanno aumentare i contagi. A questo va aggiunto che, nonostante il protocollo già messo a punto per i «seggi sicuri», l’esercizio del voto resta comunque una attività carica di un certo rischio. Ci sono le matite che passano da cento mani, le schede che comunque devono essere maneggiate da una serie di persone, il fatto che un elettore in cabina tocca una serie di parti in comune, senza contare che può aver starnutito o tossito. Fattori di rischio rispetto ai quali molti elettori hanno già dichiarato che non andranno a votare.
Questo della partecipazione è un altro «virus» che potrebbe agire nell’election day. Il referendum confermativo non prevede infatti un quorum e dunque non vi sarà nessuno a spingere per andare a votare. La vittoria del Sì appare scontata, poiché sul piatto della bilancia vi sono argomenti asimmetrici. Da una parte il tema popolare del taglio dei parlamentari, con le facili considerazioni sulla «casta», sul basta con i furbetti e sulle ruberie di corredo; dall’altra il tema della rappresentanza e del rispetto delle minoranze, decisamente meno facile da comunicare.

A fare da traino, almeno là dove è previsto il voto, potrebbero essere le elezioni regionali. Scegliere il «governatore» che per i prossimi cinque anni gestirà il territorio ha più appeal che non la questione – apparentemente distante – della riduzione dei parlamentari. Ma anche in questo caso l’effetto Covid potrebbe fare la sua parte nel disincentivare la partecipazione al voto, soprattutto se nelle regioni interessate (oltre alla Puglia, ci sono Veneto, Liguria, Campania, Toscana, Marche e Valle D'Aosta) dovessero svilupparsi focolai importanti di contagio. Non a caso i presidenti uscenti di queste regioni erano stati protagonisti di un vivace scontro con il governo sulla data delle elezioni, chiedendo appunto che si tenessero a fine agosto, cioè nella fase ritenuta ancora sicura dal punto di vista sanitario.

Gli scaramantici, che in politica sono numerosi almeno quanto lo sono nel mondo sportivo, fanno rilevare anche che è la prima volta che un election day si tiene a settembre. Osservazione che, al di là della curiosità statistica, comunque conserva un nucleo di verità: mai c’era stata una campagna elettorale sotto gli ombrelloni e pertanto blanda, discontinua, povera di contenuti e per di più con un pubblico distratto dalle vacanze. Si può dire con buona approssimazione che sia per il referendum costituzionale che per i presidenti delle Regioni ci sarà un voto per «fede», cioè sulla base di convinzioni già maturate da tempo e impermeabili a qualsiasi annuncio, programma o considerazione. Il che ripropone la questione di prima: il concreto rischio che i cosiddetti «indecisi» restino tali e scelgano di restarsene a casa non avendo avuto l’opportunità e neppure la spinta ad approfondire le motivazioni per votare un candidato al posto di un altro.

In questa tornata più che mai le scelte potrebbero essere determinate da chi possiede pacchetti di voti, dalle organizzazioni più o meno efficienti dei partiti, dallo scambio di «favori». Insomma, si rischia un ulteriore allontanamento dei cittadini dalla loro rappresentanza. E purtroppo anche la prevista vittoria dei Sì al referendum costituzionale porterebbe il futuro politico dell’Italia in questa direzione, con i partiti sempre più arroccati nella scelta di candidati «sicuri» e «fedeli», con buona pace dei cosiddetti rappresentanti della «società civile». La casta insomma diventerebbe ancora più «casta» e alla democrazia tutto questo non fa bene. Forse dopo il Covid bisognerebbe provare a contrastare lo strano virus che ormai contagia le nostre istituzioni allontanandole sempre più dalla gente.

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