Il commento

Chi lancia una molotov tra le taniche di benzina

Leonardo Petrocelli

La politica sia sobria, dia l’esempio, si accomodi sotto le bombe della tragedia economica che, da oltre un decennio, si è abbattuta sugli italiani impoveriti e frustrati

Ragionare sui vitalizi è già impresa difficile. Ragionarci tecnicamente lo è ancora di più perché mai, come su questo tema, si va di pancia piuttosto che di testa. Di «simbolo» più che di sostanza. Ormai lo sanno tutti, anche i sassi, che quella degli stipendi dei politici, delle loro pensioni, delle auto blu, del Quirinale che costa più di Buckingham Palace, sono questioni da «noccioline avvelenate».

Tagliare tutto quanto con la mannaia non risolverebbe certo i problemi della crescita, del debito, del Pil. L’idea che, sforbiciando i denari del notabilato politico, spuntino automaticamente alberi di banconote sui balconi di tutta Italia è poco più di una fantasia populista. Noccioline, appunto, spiccioli rispetto ai guai macroeconomici che ci affiggono con fucilate a pallettoni da nove o dieci zeri. E anzi, diciamocela tutta: se gli italiani percepissero - dalla totalità della classe politica nazionale - impegno, dedizione e rigore sarebbero ben felici di dar loro un lauto assegno a vita in cambio dei provvedimenti necessari al bene collettivo. Di più. L’idea di irrorare di denari le classi dirigenti, presenti e passate, nasce proprio dalla volontà di smontare il giocattolo plutocratico: se guadagnano tanto, la politica non sarà roba da ricchi. O comunque non ruberanno.

E, invece, quanto successo negli ultimi decenni ci ha portati dove siamo ora. Far «dimagrire» l’apparato è diventato un imperativo morale: la politica sia sobria, dia l’esempio, si accomodi sotto le bombe della tragedia economica che, da oltre un decennio, si è abbattuta sugli italiani impoveriti e frustrati. Ad infiammare tutto ci mancava poi la pandemia tra saracinesche chiuse, ammortizzatori sociali che non arrivano e interi settori che stentano a ripartire, con il Governo chiuso a dibattere sui destini collettivi tra le porcellane di Villa Pamphilj. Praticamente Versailles. Una pessima trovata comunicativa, come pessimo - dato il clima - è il tempismo della Commissione Contenziosa del Senato che ha dato semaforo verde all’annullamento della delibera del Consiglio di presidenza che, ad ottobre 2018, aveva stabilito il taglio dei vitalizi.

Non è finita qui, naturalmente perché già sono pronti ricorsi su ricorsi. Tutta la politica, in testa il M5S, si dice indignata, mentre i «tecnici» accusano proprio i pentastellati di aver scritto male la delibera di cui sopra, prestandosi allo stralcio. Nessuno, c’è da giurarci, si appassionerà alla questione in punta di diritto. Perché il tema è di pancia e non di testa. E siamo tornati al punto di partenza: tagliare i vitalizi farà arrivare un po’ prima la cassa integrazione? No di certo, ma simbolicamente palesa una sorta di «equità» verso il basso (se stiamo male, dobbiamo star male tutti), di giustizia restituita. Che purtroppo, nei fatti, non risarcisce nessuno pur regalando a molti una certa soddisfazione epidermica. E tuttavia perfino gli ex senatori, da non demonizzare a priori, si sono detti disponibili ai sacrifici. Dunque che il taglio si faccia una volta per tutte, ragionato e senza sbavature giuridiche.

Perché annunciarne lo stralcio - per qualsiasi ragione - in un frangente come quello attuale, è come gettare una molotov in un negozio di taniche di benzina. La rabbia sociale monta ogni giorno di più per mille (e giustificati) motivi. Si tratta di fare in modo di non aggiungerne altri.

Privacy Policy Cookie Policy