IL PUNTO DI VISTA
Scuola nel pallone, verità nel post-solleone
La scuola, settore nevralgico per una società che si voglia definire civile e proiettata verso il futuro, ma il caos regna sovrano: si privilegia la didattica in presenza, invitando però a ripiegare su quella a distanza se non vi sono le condizioni e i mezzi per la prima
L’unica cosa positiva del progetto Azzolina per l’anno scolastico che verrà è probabilmente la reintroduzione dell’educazione civica, irrobustita con lo studio dello sviluppo sostenibile, dell’educazione ambientale e dell’uso appropriato del mondo digitale. Una creazione, non va dimenticato, che si deve ad Aldo Moro nel lontano 1958 e che poi, per ragioni imperscrutabili, è stata di fatto cloroformizzata.
Non una vera rivoluzione, insomma. Piuttosto, uno specchietto per le allodole che nasconde un marasma totale e un’assenza di progettazione (e di adeguate risorse) in un settore nevralgico per una società che si voglia definire civile e proiettata verso il futuro. «A settembre ci sarà l’educazione civica a scuola, ma non ci sarà la scuola», ha scritto ieri in un tweet fulminante Alessandro D’Avenia: sarà come essere sul set di un cinema, nel quale delle case ci sono solo le facciate.
Per il resto, il caos regna sovrano. E gli intenti della ministra geniale, accantonati gli inquietanti pannelli di plexiglass che avrebbero dovuto garantire “l’assenza in presenza”, appaiono alquanto fumosi riversando di fatto sui presidi l’onore e l’onere di gestire – a costo zero – il tutto. Si privilegia la didattica in presenza, invitando però a ripiegare su quella a distanza se non vi sono le condizioni e i mezzi per la prima; si propone di rimodulare il famigerato “gruppo classe” in più gruppi di apprendimento (affidati a chi, se il docente è lo stesso?); si propone di mixare i ragazzi in gruppi provenienti dalla stessa classe, da differenti classi o da differenti anni di corso (!). Quest’ultima ipotesi è davvero la più sorprendente: ma il problema non è quello di ridurre il numero degli studenti? E allora perché accorparli? E quelli provenienti, ad esempio, da una prima e da una quinta classe di una scuola superiore di cosa parlano? Ripetono quello che hanno studiato quattro anni prima o ascoltano senza comprendere nulla, non avendone i pilastri, quello che avrebbero dovuto studiare quattro anni dopo? E con quali docenti, quelli del primo anno o quelli del quinto?
Riprende anche la danza delle mascherine. Sì, forse no, dipende dall’età, dipende (ovviamente) dall’eventuale recrudescenza del coronavirus. Tra le novità, poi, i patti educativi di comunità, una di quelle classiche espressioni che suona bene ma che non dice nulla. Inutile scendere nel dettaglio, perché vi sono altri capolavori che dovrebbero risollevare le sorti di una scuola claudicante e rabberciata rimettendo a strutture e soggetti esterni – che dunque dovrebbero collaborare volontariamente e potrebbero benissimo decidere di non farlo – compiti di supplenza delle risorse umane e strutturali che uno Stato degno di tal nome dovrebbe reperire in prima persona. Come peraltro pomposamente annunciato quando il Covid-19 incombeva su tutti. Cessata l’emergenza pandemica, evidentemente, si ritiene che sia venuta meno quella del mondo dell’istruzione. Emergenza, come tutti sanno (tranne coloro che negli anni si sono susseguiti alla guida del Paese), che preesiste al virus silenzioso. Emblematico, sotto il profilo del potenziamento del personale, che si preveda un intervento teso all’assunzione di personale non docente (specialmente assistenti e bidelli) e zero euro per gli insegnanti. Per questi, evidentemente, si ritiene sufficiente la girandola di pseudosoluzioni prima e di seguito enunciate. Perché l’elenco non è finito.
Ancora, aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari. Ma, a parte l’ovvia caduta di qualità della didattica, il numero delle ore di lezione da svolgere non è sempre lo stesso? Dall’ottimismo sbandierato, peraltro, emerge la cruda verità: si prevede, per le scuole secondarie di secondo grado, l’attività didattica in presenza integrata dalla digitale. La modalità blended, come a molti piace dire per dare più importanza alla cosa, per farla apparire più à la page. E pensare che un tempo il termine faceva pensare alle miscele di tabacco e di malto alla base di sigarette e di whisky. Evidentemente The Times They Are a-Changing.
Insomma, un guazzabuglio nel quale si fa fatica ad orientarsi, tutto e il contrario di tutto. Si ha quasi l’impressione che la Azzolina si sia affidata ad un algoritmo per estrarre una tale quantità di proposte. E che, probabilmente, non sia stata adeguatamente consigliata e si sia affidata all’algoritmo sbagliato. Nel frattempo i dirigenti degli istituti scolastici – giustamente – la incalzano, chiedendo in maniera molto elementare direttive più precise e risorse per poterle attuare. Ed invece, ma forse non c’è da meravigliarsi di fronte a figli di Beppe Grillo, emergono tratti di comicità involontaria in un quadro che, se davvero negli italiani esistesse una buona dose di quel senso civico che ora si vorrebbe dispensare e instillare, apparirebbe nella sua tragicità dimostrando, ancora una volta, la totale noncuranza per il mondo dell’istruzione. L’esistenza di una barriera, trasparente ma assai più divisiva di un pannello di plexiglass, tra chi detiene le leve di comando e la conoscenza.