IL DRAMMA
Alex, il vero eroe dei nostri tempi
«È disabile chi ha poca stima di sé», ha detto più volte. È tutto qui l’abbrivio di un campione oltre il limite e fuori ogni linea di rassegnazione. Perché chi s’accontenta muore
Con due gambe in meno avrebbe avuto un mucchio di ragioni per smettere di inforcare la vita. Se l’è cavata smettendo di credere all’impossibile. Zanardi, bolognese di 53 anni, è un riassunto facile: «È disabile chi ha poca stima di sé», ha detto più volte. È tutto qui l’abbrivio di un campione oltre il limite e fuori ogni linea di rassegnazione. Perché chi s’accontenta muore.
Uno che si chiama Alessandro ha in consegna dalla nascita un mandato che è un rovello: alexo, voce greca che sta per «proteggo», «salvo»; aner-andròs, sta per uomo. Uomo che salva, ma anche, uomo salvo. C’è mezzo mondo che nelle ultime ore fa il tifo affinché la profezia contenuta nel nome si avveri. Più volte, molte volte s’è avverata. Zanardi è uscito ed entrato dalle sale operatorie come fossero i box del pit stop. È salito in cielo e ridisceso per quindici volte, dopo una catena di arresti cardiaci. E ora che è in coma farmacologico, il bollettino medico che parla di «miglioramenti lentissimi» è l’ennesima conferma di come lui, la vita, è abituato a scartavetrarla.
Difficile prendere un verso per farne il ritratto. Pilota, ciclista, Ironman, autore di libri, conduttore televisivo di programmi di senso («Sfide»). Una tavolozza umana dai mille colori, cento competenze e un’anima oltre ogni barriera, fin da quando il padre idraulico e la madre camiciaia gli regalano a 14 anni il kart che gli avrebbe messo le ali da sportivo. Doveva imparare a riparare lo sciacquone nel mentre pigiava sull’acceleratore con la testa alla Formula Uno. Alex impara a tirare lo scarico a chi lo frena e prendere per le corna il toro del destino che nel 1979 gli cancella la sorella maggiore, morta a 15 anni in un incidente stradale. Quando tutto attorno toglie suono ai violini, lui, va giù di brutto coi tamburi. Nel 1991 è in Formula 1. I risultati languono, vola negli Stati Uniti per abbracciare la Formula Cart. La F1 lo richiama nel 1999, Frank Williams gli dà la macchina. Nei 44 gran premi, un punto raccolto. Riecco la Formula Cart, fino all’incidente in Germania, il 15 settembre 2001. Rischia di morire dissanguato, non perde mai conoscenza. In ospedale, a Berlino, sarà un calvario. Gambe amputate, ma non è il game over.
Recupero, riscatto, ritorno. Come Ulisse verso Itaca, nel viaggio infinito tra i Lestrigoni e i Ciclopi e la furia di Nettuno. Perché se non puoi correre e nemmeno camminare – gli ricorderà Roberto Vecchioni dedicandogli «Ti insegnerò a volare» - fuori ci sono le stelle e un mare di colori che possono mettere le ali. «Mica finisce il giorno», mica si può lasciare la pista della vita: passione per il paraciclismo, quattro ori olimpici tra Londra 2012 e Rio 2016, otto mondiali su strada. «Quelle Storie tricolori-Non mollare mai», condotte col sorriso stampato di sempre, la sera del 2 giugno su Rai 1, sono un’altra sintesi feroce del suo destino, dentro il quale convergono le speranze dei circa quattro milioni di italiani disabili. E di tutti noi che, fuori fuoco, abbiamo bisogno di gente come lui per capire che il più delle volte i confini si possono spostare. Perché «è disabile chi ha poca stima di sé».