L'Editoriale

Meno male che un’ Angela c’è e finge di non vedere

Giuseppe de Tomaso

Il ruolo della Cancelliera in questa delicata fase di politica europea: sa che la Germania è troppo grande per l’Europa. Ma sa pure che la Germania è troppo piccola per il mondo

Angela Merkel non sarà carismatica come il suo pigmalione Helmut Kohl (1930-2017), ma dispone di tre marce in più rispetto ai suoi colleghi europei. Per temperamento, la Cancelliera è più dura dell’acciaio. Ma per cultura politica, sa essere, all’occasione, più morbida di una sciarpa. Aver accettato, di fatto, di prendere in colsiderazione il principio della mutualizzazione del debito, ipotesi finora respinta senza se e senza ma dall’Europa del Nord e dalla Germania, non è un dettaglio di scarsa importanza, ma costituisce, può costituire, l’inizio della ripartenza del cammino europeo. E se passa sul serio la linea della condivisione del debito, che sta alla base del pompaggio di 500 miliardi di euro prospettato durante il recente vertice franco-tedesco, il viaggio verso l’integrazione politica dell’Europa non dovrebbe più incontrare problemi di impossibile soluzione.

Se così fosse, se davvero la Cancelliera riuscisse a portare sulle sue posizioni i falchi del Nord Europa che, finora, alla sola idea di dover partecipare al debito davano la sensazione di voler mettere la mano sulla pistola, ecco se così fosse, anche lo scenario all’interno dei singoli stati subirebbe uno scossone che manco in un movimentato film con James Bond.

Esaminiamo il caso Italia. Se in Europa passasse la linea della mutualizzazione del debito, gli argomenti dei sovranisti perderebbero sùbito efficacia, perché verrebbe a cadere le accuse più ricorrenti da loro rivolte all’Unione: l’indifferenza verso i Paesi più deboli, lo strapotere della Germania, l’esaltazione della stabilità rispetto alla crescita, la sublimazione della disciplina finanziaria e via denunciando.

È vero. Negli ultimi lustri il processo reale in Europa ha oscurato il progetto ideale dei padri costituenti. Ma un piano di rilancio dello spirito comunitario, sull’onda delle misure contro il coronavirus, potrebbe smuovere lo status quo e rilanciare quello spirito comunitario originario svanito negli ultimi tempi. Del resto, le combinazioni e le astuzie della Storia sono infinite. Quando tutto sembra compromesso, può irrompere, come in una tragedia antica, il deus ex machina che fa chiarezza e risolve anche i rebus più intricati.

La Merkel è una zia saggia. Sa che la Germania è troppo grande per l’Europa. Ma sa pure che la Germania è troppo piccola per il mondo. Per cui, o Berlino accetta di sacrificarsi e assume un ruolo guida in Europa sia pure con la titolarità del governo e del parlamento di Bruxelles e Strasburgo; o accetta di arrendersi alla strategia di conquista dell’Europa già avviata da Cina e Russia.
Ovviamente anche l’Italia non potrà restare a lungo alla finestra. O accetta l’Europa, senza retropensieri sovranistici. O dovrà entrare nell’orbita euro-asiatica con tutte le conseguenze che questa nuova collocazione comporterebbe.

Inutile dire che all’Italia conviene puntare sull’Europa, ignorando le melodiose sirene extracontinentali e attaccandosi come Ulisse all’albero della razionalità. Ma non è semplice, visto che solo un improvviso scatto verso la condivisione del debito, potrebbe ridare legna al forno unitario.
Alcuni dati. Oggi i cittadini europei sono il 7% della popolazione mondiale. Nel 2050 saranno il 5%. Nel 2050 le maggiori metropoli del pianeta non saranno europee. Non solo. L’Europa deve affrontare lo scoglio dell’invecchiamento della popolazione mentre, negli altri angoli del globo, questo problema non esiste. E poi, la concorrenza asiatica nelle forniture del digitale, nell’intelligenza artificiale e nella robotica. Come potrebbe il Vecchio Continente affrontare queste sfide presentandosi in ordine sparso. Come potrebbe riuscirci il Sud Europa? E il Mezzogiorno d’Italia?

Ecco perché servirebbero leader europeisti non solo in grado di contrastare le vulgate di quanti mirano alla disgregazione di quello che si è tessuto finora, ma soprattutto in grado di indicare una prospettiva unitaria convincente e affascinante. Purtroppo, l’Italia non dispone di leader genere Merkel, capaci, all’occorrenza, di sfidare l’impopolarità interna ieri sull’immigrazione e oggi sulla mutualizzazione del debito, ossia sul soccorso a beneficio dei Paesi più deboli. Non a caso il deficit di leadership, nella Penisola, rappresenta un limite grave quanto il debito pubblico.

Se la Merkel tende la mano agli stati più indebitati, anche gli stati più indebitati devono lanciare segnali di disciplina finanziaria ai partner più virtuosi. Così dovrebbe funzionare una comunità internazionale, e anche una realtà nazionale smaniosa di riscattarsi. Invece, le giornate politiche nell’Urbe trascorrono tra sgambetti e giochi da retrobottega, leggi contraddittorie e carrierismi estremi, mozioni varie e trattative sotterranee. Per fortuna, la Merkel fa finta di non vedere. Altrimenti chiederebbe al Belpaese di quanto ha bisogno, in termini di incentivi materiali, per divorziare dall’Europa e rovinarsi con le proprie mani.

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