Ostaggi Selvaggi

«Vecchi, internet vi salva dal virus: parola di Renzo Arbore»

ALBERTO SELVAGGI

«Scampato alla broncopolmonite, torno in Rai con un cast made in Puglia»

Biiip (scatta la segreteria telefonica) buongiorno, Renzo Arbore, sono Alberto Selvaggi, se mi può richiamare a questo numero…

«Uè, Alberto Selvaggi, uè Alberto Selvaggi fermati non ti muovere, fermo, stai buono là! Allora come la mettiamo con ‘sta storia adesso? Che ci dobbiamo dire secondo te?».

Veramente, tocca a lei, murato in casa dal decreto: quasi le sembra di stare nella sua Foggia, giovanissimo, durante la guerra.

«E no, e no, un momento: ma allora Alberto Selvaggi non sai proprio niente. Che puoi dire tu se non c’eri? Io che ho vissuto le bombe, in questo teorema che paragona il coronavirus al conflitto mondiale mica mi ritrovo. Era un momento storico diverso. La carestia, il terrore, il coprifuoco, i dolori, i bunker: facevo la fame perfino io che ero di famiglia piuttosto abbiente. E poi allora che stava da fare per noi giovincelli? Nulla. Il nostro problema principale era: mamma e che facciamo adesso? Tenevo Radio Bari, basta. E poi i giochi tipo la campana, i pallùcce (biglie) con le ambitissime kocis (a base bianca), u’ cùrle in Villa comunale, soprattutto una specie di baseball strano, mazze e bustikke, con tanto di catarron (la base), u’ bigliett’ (strike). O la palla di pezza. I bambini tremavano per i nemici che li volevano uccidere».

E adesso, «signor Arbri» (cit. da Nino Frassica)? Ugualmente non si esce. Ci sono i social, alienazione completa. Il nemico non lo vedi neppure, dato che non indossa divise. E uccide nell’universo intero, non negli spazi circoscritti delle nazioni in conflitto.

«Questo lo riconosco, effettivamente. Il killer al contrario di ieri è ovunque, invisibile, colpisce anche attraverso l’amico, il marito, la moglie, il figlio. Senza le armi e senza l’elmetto».

L’infinitesimale ha annientato l’enormità della vita. Le grandi cose d’altronde nascono sempre dalle più piccole. È un po’ il discorso microcosmo e macrocosmo delle filosofie, delle teologie.
«Però l’uomo oggi ha una risorsa straordinaria, grandissima: qual è? Sentiamo, pensaci».

«Ecco, vedi che non sei informato? È la tecnologia. La tv che ci regala notizie, e programmi in questi giorni finalmente bellissimi. E più di tutto la Rete, la comunicazione digitale, la ricerca, gli archivi infiniti, torrenti di proposte e di stimoli forniti dalla più grande invenzione della storia. Io mi ci beo. E sul mio canale renzoarborechannell.tv sto facendo sfracelli. Anzi, ora vatti a sentire immediatamente Me ne vado a fare il guru, uno dei prodigi ignoti di Riccardo Pazzaglia».


Bella forza: lei è baciato in fronte dall’immaturità più matura. È amato universalmente, cosa che accade soltanto a chi è senza filtri, cioè ai veri artisti. Pensi se fosse un Selvaggi del piffero e avesse qua sul tavolo soltanto il gatto Dorian che lo scruta sgranando gli occhioni da gufo, incaponendosi nel fissare in mente forme di demoni che forse intravede.


«Be’ e allora, visto che mi vengono attribuite queste caratteristiche di solarità, di saper vivere, mi si lasci dare un consiglio ai coetanei ragazzetti come me: rompete le scatole ai figli e ai nipoti perché vi insegnino i rudimenti per viaggiare su internet, per andare sui social, e vedrete come rinverdirete. Troverete tutto il mondo là dentro, pure quello che è passato e non avete più potuto gustare. Poi oggi non saper maneggiare un computer è un impedimento grave».


Io per fortuna ho una giovane collega di redazione, Graziana Capurso, soprannominata appunto «la badante di Selvaggi», che chiamo in continuazione e mi videoguida sul pc. Si occupa anche della mia salute.
«Diamole tutta la solidarietà che merita».
Arbore, «scusa, ma tu quanti anni tieni?» («Quelli della notte»).
«Ottantadue».
Con l’energia di un ventottenne.
«E pensa che sono stato molto male. Me la sono vista brutta, ma brutta brutta, a Natale, sotto le feste, prima della pandemia. Una broncopolmonite che non passava. Lunga convalescenza. E adesso sto ancora in casa, anche per l’età sono a rischio coronavirus, lo so bene. Meno male che mi portano la Puglia a Roma. Tengo i pusher, tengo. Queste leccornie sono sicuro che manco tu a Bari sei buono a procurartele: Onofrio Pepe, caro amico di Altamura, fra pane dop e gastronomia, è il mio principale fornitore. Ho le cipolle rosse da Acquaviva delle Fonti. Carciofi da Margherita di Savoia. Olive da Cerignola. E cucino, perché io ci sto ai fornelli, eh! Pugliesi si resta, non si diventa».

Sì ma, mentre rivoluzionava la radio e la televisione italiane, è diventato un napoletano romano, più o meno.

«Non è vero. Sono foggiano, pugliese, meridionale doc. Esempio: con Lino Banfi e Michele Mirabella ho praticamente completato un mio nuovo programma per Raidue che, prima della pandemia, era previsto da settembre. E indovina un po’ come lo ho intitolato: “TelePuglia International”, realizzato appunto con tanti artisti, Gegè Telesforo ovviamente, tutti pugliesi, e nel quale si parla solamente con cadenza pugliese. Un progetto che mi frullava da tanti anni nella testa. Più passa il tempo e più ripenso alla mia terra. Capoluogo compreso, naturalmente. Quanti ricordi. Per esempio, rispondi: chi camminava mano nella mano e si dava i bacetti con Mario Marenco a Bari in via Sparano nel lontano..?».

Stop: so già di non sapere.
«Come, mi prendi in giro? Manco ‘sta cosa sai? Possibile?».
Non la so, sono ciuccio.
«Laura Antonelli! E diamine… Mario e Laura erano figli di ufficiali della Finanza, ambedue trasferiti a Bari. Si conobbero credo in una occasione proprio in caserma, si innamorarono e poi insieme, dopo oltre un anno, se ne vennero da Bari qua a Roma. Restarono fidanzati per quattro anni e posso giurare una cosa: Laura Antonelli è stata la più bella, aggraziata ragazzina che abbia mai visto da quando sono nato a oggi».

Non ci posso credere: Marenco. Che tenerezza mi fece. Un bambino privo di difese. Ricordo che si lamentava, voleva tornare in pista, con lei naturalmente. E mi disse: in qualche intervista devi chiedere a Renzo se ha perso il coraggio di osare, ma non dirgli che ti ho detto io di chiederlo eh. Sperava che lei lanciasse la sua ennesima opera d’arte televisiva.
«Mario Marenco, Gianni Boncompagni... Quanto ci penso. Su Marenco ci ho fatto una conferenza di un’ora e 40 minuti all’Eliseo. Tutti ridevano. L’ho chiamato sempre con me, lo sapete. Che genio».

Davvero.

«In queste lunghe giornate, come tutti immagino, rileggo il passato, ripesco i trofei. La mia collezione di dischi, abiti, strumenti da tutto il mondo, gli oggetti di plastica che costituiscono la più importante collezione italiana del genere: plastiche dell’età d’oro nazionale anni Venti e Trenta, tantissime altre acquistate in America. Copertine di riviste, filmati. Verranno esposti nel futuro Centro di cultura “Casa Arbore”, a Foggia, nell’ex sede della Banca d’Italia, di fronte al Municipio. Un progetto che ho messo a punto con il governatore Michele Emiliano e con il sindaco Franco Landella. Anzi, siccome mi serve il cartaceo, mi devi conservare una copia di questa intervista. Finirà nel museo con il resto della mia esistenza».

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