L'analisi
Sistema e visione due parole che fanno politica
Le crisi da cambiamento non devono trasformarsi in crisi di sistema, altrimenti si ripete ciò che è avvenuto con il collasso della Prima Repubblica
Uno degli errori più grossi che i partiti, nell’era della turbo politica, rischiano di commettere è quello di non considerarsi parte integrante di un sistema. Parola questa che si muove a metà tra il metodo e il merito. Modello interpretativo o manifestazione di pragmatismo, è evidente che oggetto di un’analisi sistemica non può essere la totalità, ma la generalità di un fenomeno. Dunque, non tanto l’universo delle componenti di un sistema, nel nostro caso il sistema politico, quanto le relazioni che intercorrono tra i diversi soggetti. Relazioni che spesso si sviluppano in modo indipendente dalla volontà dei singoli protagonisti. Un approccio sistemico alla politica consente il contemporaneo espletamento di tre funzioni.
La prima: “spiegare” quello che spesso non viene spiegato per consuetudine (ormai) alla semplificazione del messaggio politico, per incapacità di un tema di permanere al centro dell’attenzione per giorni anziché per ore, per convenienza essendo più facile generare percezioni della realtà più consone alle proprie strategie di comunicazione e marketing politico. La seconda: “prevedere”, muovendosi in controtendenza rispetto a quegli approcci asfittici che non producono consapevolezza dei reali problemi del Paese e delle conseguenze di certe direzioni dell’agire politico. La terza: “valutare”, accertando il peso dei costi e dei benefici delle diverse opzioni in campo, esprimendo un giudizio di valore che, tuttavia, richiede capacità critica ed una postura sociale solida e responsabile. Se i partiti italiani, indipendentemente dalla loro collocazione, sviluppassero visione e comprendessero fino in fondo che la politica è un “processo complesso”, anche la dimensione evolutiva avrebbe un significato diverso. Diverrebbe occasione per vincolare domanda ed offerta all’habitat in cui i diversi fenomeni si manifestano. Come ho già ricordato proprio sulle colonne di questo quotidiano, al cambiamento si può arrivare in due modi: o in seguito ad un conflitto tra diritti ed interessi contrapposti o per spinte propulsive maturate all’interno del tessuto sociale e manifestatesi come vere e proprie urgenze in base a logiche ascendenti e non più discendenti. La cultura della frammentazione ha rafforzato la presenza dei particolarismi. Ha privato la politica della sua capacità di aggregare ciò che tende a svilupparsi in modo autonomo, di sfruttare il rapporto di causa ed effetto. Come esempio del vantaggio che si otterrebbe se si facesse ricorso ad un approccio sistemico, si considerino le sfide che stanno caratterizzando la vita di un po’ tutti i partiti e i movimenti politici in questo inizio di ventennio.
I Cinque Stelle sono alle prese con il passaggio dalla fase dell’adolescenza a quella della maturità, con la definizione di una nuova funzione politica, con un nuovo assetto organizzativo. Più che delle questioni legate agli assetti di potere e ai regolamenti di conti interni, sarebbe utile che dirigenti e base del Movimento collaborassero con il leader nella soluzione delle emergenze del Paese avendo ricevuto dagli elettori un mandato ampio per invertire la rotta.
La sinistra sta provando a cambiare anch’essa organizzazione e “politelling”, individuando i territori di confine tra la sinistra, il centro-sinistra ed il movimentismo. Obiettivo: favorire sinergia, superare i protagonismi individuali e accreditare una narrazione più identitaria. Si pensi alla ricerca (non ancora del tutto manifesta) dei touch point possibili da sviluppare tra Pd e Sardine.
Il centro si presenta come una meta ambita, anche se più che un “luogo” della politica si rivela essere soprattutto un “metodo”, portato avanti nella consapevolezza dell’importanza di interlocuzioni non occasionali con elettori moderati e ceto medio. In quanto metodo, il centro è approccio difficilmente canalizzabile in un solo partito. Sono di centro (nel senso di non essere né di destra, né di sinistra) i Cinque Stelle. Sono di centro Forza Italia e Italia Viva, ma con lo sguardo rivolto rispettivamente l’una più a destra e l’altra più a sinistra.
Grazie alla straordinaria crescita di consensi ottenuta dalla Lega negli ultimi anni e grazie all’ascesa di Fratelli d’Italia, la destra gode di buona salute, ma ha bisogno di raggiungere il traguardo delle elezioni anticipate se non vuole che i propri elettori si raffreddino. Ha un consenso molto ampio nel Paese che finora non è riuscito a trasformarsi in premiership.
Nel complesso, si può dire che la politica sembra non aver saputo sfruttare la reciprocità delle differenti direzioni relazionali. Ha dimostrato di essere attratta più dalle ragioni dei singoli sottosistemi che dal sistema nella sua generalità. E questo spiega il perché, nonostante l’era post-ideologica ed il tramonto della “forma partito”, si continui ad assistere a contrapposizioni interne alle maggioranze di turno oltre che a scontri tra maggioranza e opposizione. Spiega perché si registri ancora tanta distanza tra manifestazioni di democrazia diretta e soluzioni di democrazia rappresentativa, perché sia più facile ricorrere allo strumento del decreto legge anziché alle leggi di iniziativa parlamentare, perché assistiamo ad incessanti cambi di casacca, perché l’eterogenesi dei fini (come avvenuto per il referendum sul taglio dei parlamentari) sia ormai una prassi, perché nessuno si fidi più di nessuno, perché si insista su un Parlamento costituito più da nominati che da eletti, perché l’orientamento prevalente tra i partiti sia quello di una legge elettorale in senso proporzionale sia pur con soglia di sbarramento e diritto di tribuna per chi non la supera. La settimana scorsa la maggioranza ha depositato una proposta che ricalca questo schema. Dopodomani la Corte Costituzionale deciderà se dare il via libera al referendum richiesto dalla Lega per abolire la quota proporzionale del Rosatellum ed ottenere così un impianto totalmente maggioritario. Tra i due accadimenti c’è un nesso: la maggioranza ha inviato alla Consulta un messaggio chiaro dicendole che non c’è bisogno di referendum visto che il Parlamento si sta già occupando della questione. E poi: siamo sicuri che alla Lega dispiacerebbe davvero il proporzionale con alta soglia di sbarramento?
Le crisi da cambiamento non devono trasformarsi in crisi di sistema, altrimenti si ripete ciò che è avvenuto con il collasso della Prima Repubblica. Servono sistema e visione per affrontare la complessità del nostro tempo. E per allontanare il rischio di scelte troppo schiacciate sul presente.