L'analisi
I litigi allontanano l’obiettivo della ripresa
L'Istat, pubblicando domani le stime provvisorie sull’andamento del prodotto interno lordo nel primo trimestre del 2019, dovrebbe far riferimento allo 0,1%. Si tratta di una percentuale sufficiente a far uscire l’Italia dalla fase della recessione.
C’è una buona notizia in queste giornate di grande tensione e di muro contro muro tra i due partiti firmatari del patto di governo. Salvo clamorosi colpi di scena, l’Istat, pubblicando domani le stime provvisorie sull’andamento del prodotto interno lordo nel primo trimestre del 2019, dovrebbe far riferimento allo 0,1%. Si tratta di una percentuale di crescita davvero molto bassa, anche se sufficiente a far uscire l’Italia dalla fase, tecnicamente parlando, della recessione. Negli ultimi due trimestri dell’anno scorso il nostro Paese aveva registrato il segno meno. Lo 0,1% del Pil è quanto calcolato anche dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio e da Bankitalia.
La prima (timida) ripresa, che non necessariamente coinciderà con un’inversione di tendenza dell’andamento dell’economia, si deve soprattutto all’aumento della produzione industriale. Aumento che, secondo il parere di Confindustria, è dovuto più che altro alla ricostituzione delle scorte. I consumi sono ancora molto deboli. Resta da calcolare l’impatto che avrà l’intenzione di far leva su un sentimento di rinnovata fiducia da riporre nelle misure espansive di politica economica del governo Conte, dopo quelle di matrice più assistenziale che hanno contraddistinto la prima fase. Il riferimento in questo caso è al cosiddetto decreto crescita, provvedimento quasi completamente oscurato dalle polemiche interne alla compagine governativa sul “salva Roma”, e al decreto che consente il riavvio dei cantieri dopo mesi e mesi di blocchi. È stato certamente un fatto positivo aver potenziato il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, aver corretto la mini Ires, aver ripristinato il super-ammortamento, aver stanziato 500 milioni a favore dei Comuni per investimenti necessari ai fini della messa in sicurezza di infrastrutture ed edifici e per l’incremento del livello di efficienza energetica. Ma è un fatto positivo anche aver finalmente consentito il rimborso ai soggetti truffati dalle banche. Un decimale non fa primavera, sostiene la Direttrice generale di Confindustria. Ed ha ragione. Ma almeno l’inverno è alle nostre spalle: se è vero che lo 0,1% non va sopravvalutato, non va nemmeno sottovalutato.
La buona notizia circa l’interruzione della fase recessiva, si associa al giudizio non negativo dell’agenzia di rating Standard & Poor che, così come avevano già fatto Fitch e Moody’s, non ha infierito probabilmente per evitare di rendere i nostri Btp prodotti finanziari invendibili, ovvero “junk-bond”, con tutto quello che una situazione simile avrebbe comportato o comporterebbe per l’eurozona. La tregua è utile, se non si resta però con le mani in mano e se si recupera quell’armonia di base, indispensabile per un Governo che si definisce “del cambiamento”. La sospensione della valutazione da parte dell’agenzia di rating americana non è un giudizio negativo, ma non è neanche un giudizio positivo, atteso che non sono mancate le critiche su reddito di cittadinanza e quota cento. Non dimentichiamoci, oltretutto, che i mercati, così come prova l’andamento dello spread, ci fanno pagare un prezzo ancora molto elevato per almeno due motivi: per il nostro debito pubblico che, stando a quanto previsto dal Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale, potrebbe arrivare nel 2020 al 134,1 del Pil; per il clima di incertezza politica che si continua a respirare intorno al nostro Paese. In questa vigilia di elezioni europee (e non solo europee) Cinque Stelle e Lega si stanno muovendo nella scena pubblica e in quella privata come se avessero deciso di assolvere contemporaneamente alla funzione di maggioranza e di opposizione. Una situazione che accresce la percezione della precarietà dell’esecutivo, al netto delle ripetute rassicurazioni da parte di Salvini e Di Maio ad andare avanti, anche se son si sa come e per quanto tempo ancora.
Il premier Conte, impegnato tutti i giorni nella difficile opera di mediazione e di composizione di litigi e rivendicazioni, sta provando a rassicurare i propri interlocutori a livello internazionale. In ambito economico, sta cercando di accreditare la tesi che i margini di miglioramento nei prossimi mesi saranno molto più evidenti di quelli registrati finora. A Christine Lagarde, incontrata lo scorso week-end a Pechino, egli ha detto che è ragionevole attendersi un secondo semestre con indicatori di crescita maggiori di quelli attuali. Conte ha parlato oltre che dei due provvedimenti sopra citati (decreto crescita e decreto sblocca-cantieri) anche degli interventi finalizzati a ridurre il peso della burocrazia. Basterà tutto ciò? Non dimentichiamoci che tra dieci giorni arriveranno le previsioni primaverili della Commissione europea e che pende sulla nostra testa la spada di Damocle del non allineamento del miglioramento del saldo strutturale rispetto alle attese della Ue. Gli analisti più critici del nostro Governo ipotizzano per il prossimo mese una procedura d’infrazione e prevedono la richiesta di una maxi manovra. Situazione quest’ultima che, tuttavia, si pone in correlazione con i risultati che usciranno dalle urne il prossimo 26 maggio e che si pone sulla scia della volontà espressa dall’attuale maggioranza circa la necessità di non mettere le mani nelle tasche degli italiani, di non aumentare la pressione fiscale e l’Iva, di procedere agli investimenti con coperture che derivano da alcuni tagli nel bilancio. Sempre che abbia voglia di andare avanti e di porre fine una volta per tutte alla conflittualità delle ultime settimane, spetta al Governo riuscire a dare spiegazioni su come evitare che il deficit pubblico salga dal 2,4 % di quest’anno al 3% del prossimo anno. Come si fa a perseguire questo obiettivo se non si concentrano sforzi ed attenzioni specifiche sulle strategie di politica economica e sulla individuazione delle vere priorità programmatiche? Appare del tutto evidente che gli interventi possibili, tra quelli auspicabili, sono oggettivamente limitati e che l’unico modo per finanziarli è quello di eliminare alcune spese. L’esecutivo sta lavorando alla sforbiciata delle cosiddette “tax expenditures” ovvero degli sconti fiscali. In questo caso occorre passare dalle parole del Def ai fatti della prossima legge di bilancio. I riflettori sono puntati su settori come trasporti, lavoro e famiglia. L’intento dovrebbe essere quello di valutare gli effetti redistributivi del superamento di ogni agevolazione: le soluzioni possono essere utili se i tagli sono ragionati e se non sono di tipo orizzontale. Attenzione, però, perché le questioni tecniche hanno ragione di esistere, se c’è volontà politica. il punto ora è proprio questo.