La riflessione

È il novello atlante: se cede lui, crolla tutto

Bruno Vespa

«Non mi siedo mai lì dietro», dice Giovanni Tria riferendosi al suo ufficio al Ministero del Tesoro. «Lì dietro» era la scrivania di Quintino Sella, l’uomo che nel 1875 portò l’Italia al pareggio di bilancio.

«Non mi siedo mai lì dietro», mi disse Giovanni Tria quando andai a trovarlo nel suo ufficio di ministro del Tesoro. «Lì dietro» era la scrivania di Quintino Sella, l’uomo che nel 1875 portò l’Italia al pareggio di bilancio. Meglio lasciar perdere, visti i tempi. Indicato da Paolo Savona, in propria sostituzione dopo la bocciatura di Mattarella, Tria è stato descritto sempre vicino alle dimissioni, anche se non ha mai pensato di darle. Il motivo è semplice.

Il ministro dell’Economia deve applicare le regole in un governo nato per strapparle. Questo braccio di ferro ha un costo, che si chiama spread, cioè il differenziale tra i titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi. Al momento delle elezioni del 4 marzo 2018, lo spread era di 131 punti. Ieri pomeriggio ha chiuso a 261. I 130 punti di differenza costano circa quattro miliardi e mezzo di interessi in più all’anno: il triplo di quanto basterebbe per garantire l’asilo nido gratis a tutti i bambini italiani.
E’ vero che Bruxelles ha regole economiche e finanziarie ormai fuori del tempo. E’ vero che nel tentativo di rispettarle il governo Gentiloni ha fatto una legge finanziaria per il 2018 avarissima. Ed è scandaloso che Olanda e Lussemburgo, i più occhiuti nemici della politica finanziaria italiana, abbiano trasformato i loro paesi in paradisi fiscali che attraggono tutte le maggiori aziende che operano in Europa, Fiat compresa. Ma finché quelle regole non cambieranno, i Mercati staranno dalla loro parte. E Tria è il Cireneo che porta la croce in una quaresima perpetua. Stretto tra le regole e la politica di chi vuole violarle, il ministro cerca ogni giorno gli aggiustamenti che può. All’inizio dell’autunno scorso, mi disse che sarebbe stato rivisto il codice degli appalti e chiamati 300 ingegneri come supporto per la progettazione delle amministrazioni locali sprovviste di tecnici. E’ sbocciata la primavera e non s’è visto ancora nulla. Perché? Intoppi di ogni genere. Di più: il programma per la crescita con cui Tria spera di evitare la manovra aggiuntiva di metà anno (cioè nuovi tagli e tasse) viene rinviato di giorno in giorno, come quello per sbloccare i cantieri che sarebbe un toccasana per far girare un po’ di soldi. Ultimo elemento di scontro: il rimborso ai risparmiatori truffati dalle banche. A una parte o a tutti? Per darli a tutti Tria chiede regole nuove e questo ha richiesto un nuovo rinvio. Che ha innervosito oltremodo Di Maio.

In un governo politico tradizionale, un ministro così sarebbe andato via da tempo. Ma Tria non è solo un ministro: è Atlante costretto a reggere sulle spalle per punizione l’intera volta celeste. Se va via lui, crolla tutto. Perciò Mattarella lo ha blindato , Giorgetti ( additato dai 5 Stelle come la quinta colonna dei Mercati) lo sostiene senza darlo a vedere per conto della Lega e lui ieri sera ha annunciato serafico con l’Unione europea che c’è un largo accordo sul Def, il documento finanziario dei buoni propositi. Poi verranno le elezioni e si vedrà il da farsi.

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