L'analisi

Senza giornali informazione più povera quando è festa

Giuseppe De Tomaso

Chi coltiva ancora dubbi sul ruolo del giornali nel pieno della dittatura della Rete, chi ritiene inevitabile l’eutanasia della stampa scritta, dovrebbe riflettere sull’informazione offerta ai cittadini nei due giorni natalizi, appena trascorsi, in cui le edicole sono rimaste chiuse

Chi coltiva ancora dubbi sul ruolo del giornali nel pieno della dittatura della Rete, chi ritiene inevitabile l’eutanasia della stampa scritta, dovrebbe riflettere sull’informazione offerta ai cittadini nei due giorni natalizi, appena trascorsi, in cui le edicole sono rimaste chiuse. Solo un cieco o uno spirito irrimediabilmente distratto non si sarà accorto del deficit di contenuti informativi che, puntualmente, si verifica quando il lavoro dei quotidiani si ferma. Il che, ovviamente, si è verificato anche stavolta.
Questa riflessione forse non piacerà agli ultrà dei nuovi strumenti della comunicazione, forse non piacerà neppure a chi giudica con fastidio e insofferenza la funzione dei giornali, ma è indubbio che quest’ultimi - i giornali - costituiscano l’ossatura primaria, anzi il lievito primordiale, proprio di televisione e internet.
Quante trasmissioni tv devono spunti e idee all’informazione cartacea tradizionale? Non si contano. Quanti tg, talk show e contenitori vari, si nutrono con le rassegne stampe mattutine che saccheggiano gli articoli dei quotidiani appena sfornati? Una valanga. Prendiamo il caso della manovra economica. Nell’ultima settimana, ad esempio, i tg nazionali hanno puntualmente letto, dalla mezzanotte al mattino, interi resoconti con le indiscrezioni e le novità più succulente della legge di bilancio. Morale: il lavoro dei giornalisti della stampa scritta è stato regalato alla tv e ai siti internet, col risultato, davvero paradossale e beffardo, di rendere inutile l’acquisto delle copie cartacee e delle regolari copie digitali.

Non può essere più singolare, e tragica, la situazione dei giornali. Più fanno bene il loro mestiere, più i loro giornalisti scavano nei fatti e nei provvedimenti, più consegnano il loro prodotto, gratis e chiavi in mano, alla concorrenza televisiva e internettiana. Sarebbe come se un costruttore di automobili donasse le proprie vetture ai suoi competitori nel settore dei trasporti. Insomma. Tutta la stampa tradizionale non lavora solo per la propria azienda editoriale e neppure per il proprio lettorato di riferimento. Tutta la stampa tradizionale lavora, senza compenso, anche o soprattutto per la concorrenza e per un pubblico che si sintonizza su altri canali e mezzi di informazione.
Ma questo bizzarro e «autolesionistico» flusso di notizie, e di relativi dati auditel/audipress, non si esaurisce qui. Implica anche contraccolpi sul piano degli investimenti pubblicitari. In soldoni. I giornali (saccheggiati) vedono erodere la propria diffusione ufficiale e, di conseguenza, anche i propri introiti promozionali, mentre tv e internet, grazie ai contributi informativi della stampa scritta, li vedono aumentare. Se, pochi decenni addietro, qualche pianificatore ostile alle redazioni dei giornali di carta avesse osato prevedere uno scenario simile sarebbe stato preso per un visionario o per un provocatore professionale. Invece, il cigno nero è apparso all’orizzonte.

A questa situazione oggettiva che vede i giornali dissanguarsi per sostenere trasfusioni di sangue a beneficio dei loro competitori, si deve aggiungere il massiccio fenomeno della pirateria che consiste nel rubare su Internet il prodotto appena consegnato all’edicola tradizionale o all’edicola digitale. Purtroppo è difficile stabilire le dimensioni e il «giro» di questa attività corsara. Di sicuro tende a crescere a dismisura, perché i controlli sono quelli che sono e perché per ogni pirata che si scopre ne spuntano altri che si coprono.

Ora. Provate a immaginare cosa accadrebbe se il combinato disposto tra videosaccheggio e webpirateria conducesse i giornali a gettare la spugna. L’informazione complessiva somiglierebbe né più né meno a quella andata in onda nelle due giornate appena trascorse, quando, al di là dei problemi causati dall’Etna, imposti per ovvie ragioni anche ai canali della tv e della Rete, c’era poco o nulla di originale, di rilevante e di propositivo, in grado di oltrepassare le proverbiali cronache sui cenoni di Natale e sui ristoranti nelle località di vacanza.
Non sono solo le pause festive dei quotidiani a impoverire, pure, il video e la Rete. Anche le fermate feriali, originate, nei giornali, da rotture inattese o da situazioni impreviste, provocano contrazioni nell’import-export di notizie e opinioni da parte di tv e internet. Il che la dice lunga sulla genesi fisiologica della filiera dell’informazione che, tuttora, incomincia con la produzione cartacea.

Ma non è finita. Gli stessi giornalisti dei quotidiani contribuiscono, indirettamente e involontariamente, a rafforzare la concorrenza e a indebolire le testate di provenienza. Lo fanno quando, di fatto, riempiono o sorreggono, come autori od ospiti, intere trasmissioni televisive, che, automaticamente, dalle loro teste prelevano idee e argomenti già sviluppati nei giornali di riferimento. Ma per quest’ultimo aspetto della «questione giornali» obiettivamente c’è poco da fare e da dire.
Finale. Servirebbe una presa di coscienza generale sul ruolo, tuttora fondamentale, svolto dai giornali, anche a beneficio della rimanente galassia informativa. Invece, nulla. L’informazione, la buona informazione viene ritenuta un bene superfluo di cui liberarsi come si fa, ogni dicembre, a San Silvestro, con gli oggetti datati.

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