Chiusure domenicali

Io, commessa all'ipermercato, e la mia domenica di lavoro

Stefano Tatullo

«Quando faccio la domenica Antonio, il mio ex, viene a prendersi la bambina alla sette e mezza e lei non vuole svegliarsi perché la domenica non si va a scuola e vuole dormire, e poi in macchina piango perché la domenica faccio alzare mia figlia presto»

Mah, dobbiamo lavorare la domenica, non dobbiamo lavorare? Forse ha ragione quello delle 5 Stelle, come si chiama? Però prima ha detto la domenica non si lavora e basta, poi ha detto no, il 25 percento, che significa un negozio aperto e tre chiusi, poi quelli della lega, che stanno anche loro al governo... ah, scusate, si dice la Lega, maiuscolo; comunque hanno detto va bene, però no nelle città turistiche, perché in Italia il turismo è una cosa che vengono gli stranieri e quelli sono abituati che i negozi sono sempre aperti, anche di notte. H 24 dicono. Che poi uno pensa, ma fanno la spesa di notte in America e in Francia, in Germania? Mah; allora vuol dire che non dormono, che la notte per loro è come il giorno? Mah. Vi ricordate anni fa qui in Italia quando venne quel presidente col loden, come si chiama? che fu lui che disse che i negozi ognuno sceglieva l’orario che voleva fare?

Noi qui dicemmo sì, sì, a New York così fanno, ma poi ci accorgemmo che qui a mezzanotte stiamo tutti a dormire e dopo le dieci di sera chi è che va a comprare il detersivo o a fare la spesa, cioè il pane, la frutta? Insomma, sì, ne parlammo qualche giorno ma poi nessuno ci pensò più.
La cosa della domenica invece è più grave, cioè più seria, perché ormai anche nei paesi la spesa andiamo a farla al supermercato dove c’è tutto, e la domenica andiamo all’iper che ci portiamo i bambini e così stiamo insieme alla famiglia. Io all’iper ci lavoro e a turno mi tocca fare la domenica. Sono contenta? No. Sì. Quando faccio la domenica Antonio, il mio ex, viene a prendersi la bambina alla sette e mezza e lei non vuole svegliarsi perché la domenica non si va a scuola e vuole dormire e comunque non vuole alzarsi ma io devo sbrigarmi se no faccio tardi al lavoro e poi in macchina piango perché la domenica faccio alzare mia figlia presto.
Non lo dico mai, ma anche a me mi manca la domenica a casa mia, dei miei genitori. Non lo dico però se ci penso mi sento come in una nuvola azzurra, profumata di gelsomino come quelli che mamma teneva sul balcone. Mio padre faceva una cosa bellissima: quando sentiva che io e mia sorella ci eravamo svegliate ci portava quel caffè che così buono non l’ho più bevuto. E poi c’era il pranzo di mezzogiorno, che significava il ragù di mamma. Una volta alla televisione ho visto una commedia, che era di Eduardo De Filippo, che anche in quella famiglia la domenica si faceva il ragù, e io quasi mi mettevo a piangere perché pensavo che buono come quello che faceva mamma non poteva mai essere.
Poi mi sono sposata ed è cambiato tutto. Non perché il matrimonio non è andato bene ma perché è cambiato il mondo, la vita e io è come se me ne fossi accorta solo allora. Lui faceva il barman, ma anche il cameriere, il guardiano di notte, e tante altre cose; io facevo pure io la cameriera e quando ho preso questo lavoro, a tempo indeterminato, mi è sembrato che adesso ci saremmo sistemati. Invece le cose non sono andate bene: lui se n’è tornato a casa dei suoi, e c’ha quasi quarant’anni, e io sono restata con la bambina, l’affitto di casa, le bollette... e meno male che ho questo lavoro che è a tempo indeterminato, non rischio di trovarmi in mezzo a una strada da un momento all’altro. E poi qui siamo aperti anche la domenica e io certe volte faccio il turno di qualche collega che non lo vuole fare o non può, perché la domenica pagano due euro in più all’ora e se faccio tutt’e quattro le domeniche sono quasi sessanta euro al mese, che a me mi servono.
Adesso tutti discutono di questa cosa della domenica, e tutti fanno finta che vogliono venire dalla parte nostra, dei lavoratori, ma io, così, non ci credo molto. Certo che la domenica mi piacerebbe che fosse come quando stavo a casa, ma i soldi per le scarpe, il grembiulino, lo zainetto per la bambina dove li prendo? E non è tanto perché io sto sola, perché Luisa, la mia amica che invece lavora anche il marito, la domenica la fa lo stesso perché c’ha due figli che hanno quindici e sedici anni e anche lei dice che ce la fa a mala pena. Certo, la domenica che si lavora è triste, soprattutto la sera quando finisci e te ne torni a casa rimbambita dal chiasso che hai sentito tutto il giorno e pensi che hai guadagnato 15 euro in più e invece del ragù di tua madre, nella pausa pranzo ti sei mangiata un’insalata che ti sei portata da casa nel contenitore di plastica. Certe volte ti viene da piangere pensando che adesso la bambina ti dirà che tu con lei la domenica non ci stai mai, e domani comincia un’altra settimana.
Sono contenta, sono scontenta? Non lo so; sono contenta perché c’ho il lavoro, però la famiglia è come se non ci fosse più. Sono cambiati i tempi; rispetto a quando ero ragazzina è proprio un altro mondo, un’altra vita. Questi che stanno al governo ci riempiono di chiacchiere: quello dice che non dobbiamo dare retta all’Europa e che se facciamo più debiti staremo tutti meglio; quegli altri dicono che la democrazia ce la dobbiamo fare noi votando col computer e che la domenica dobbiamo stare a casa con la famiglia; ma io come lo pago lo zainetto della bambina? Adesso i taralli e le olive che facciamo qui li vendiamo in tutto il mondo e si chiama la globalizzazione, però avevano detto che dopo saremmo stati meglio e invece poi ci hanno spiegato che il capitalismo, che è una cosa della globalizzazione, significa che per stare meglio dobbiamo lavorare la domenica. Io non le capisco le cose dell’economia, però mi pare che i ricchi adesso sono più ricchi di prima, e i poveri più poveri. E anche a me adesso mi pare di essere più povera, anche se la domenica mi pagano due euro all’ora in più. Che vita è una vita così?

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