Ambiente e Salute
Quanto ci costa la crisi dei rifiuti
Si stima che i danni alla salute generati dalla plastica abbiano un costo sociale superiore a mille miliardi di dollari l’anno
Ogni giorno siamo esposti a una minaccia invisibile fatta di microplastiche che penetrano nell’aria nell’acqua e nel cibo e da lì si insinuano nei nostri corpi. Un nuovo studio pubblicato su TheLlancet stima che i danni alla salute generati dalla plastica si traducano in un costo sociale superiore a mille miliardi di dollari l’anno. La plastica non è soltanto un problema ambientale. È un’emergenza sanitaria globale. Il rapporto frutto di una collaborazione tra Boston College, Università di Heidelberg, Centre Scientifique de Monaco e Minderoo Foundation evidenzia che solo il 10 per cento della plastica viene effettivamente riciclato.
Il 57 per cento dei rifiuti plastici non gestiti finisce nell’ambiente oppure viene incendiato all’aperto contribuendo all’inquinamento atmosferico soprattutto nei paesi a basso e medio reddito. La plastica danneggia anche quando non si vede. I rifiuti plastici si degradano in micro e nanoplastiche che penetrano nell’organismo umano attraverso l’inalazione, l’ingestione e persino il contatto. Sono già state rilevate microplastiche nei tessuti e nei fluidi corporei. Le popolazioni più vulnerabili come feti, neonati e bambini soffrono maggiormente. L’esposizione alla plastica è associata a un aumento del rischio di aborto spontaneo, parto prematuro, difetti congeniti, sviluppo polmonare compromesso, cancro infantile e problemi di fertilità in età adulta. Il ciclo di produzione uso e smaltimento della plastica si trasforma in un circolo vizioso. Le sostanze chimiche contenute nei materiali plastici comprendono ftalati bisfenolo A e altre molecole capaci di interferire con il sistema endocrino. Molte sono riconosciute come cancerogene o in grado di alterare l’equilibrio ormonale. Ma non tutte le sostanze sono note e spesso mancano dati chiari sulla loro composizione e tossicità. Le conseguenze ricadono soprattutto sui più fragili. Chi vive nei pressi di industrie discariche o inceneritori, spesso in aree socialmente svantaggiate, paga il prezzo più alto: malattie respiratorie, tumori, disturbi neurologici e i costi sanitari finiscono sulle spalle della collettività. In italia per esempio la gestione e la bonifica dei siti contaminati vale decine di miliardi di euro. Solo in Campania l’emergenza rifiuti ha generato una spesa pubblica superiore al miliardo di euro in vent’anni senza contare le ricadute sanitarie a lungo termine. Contrastare la plastica significa agire prima che diventi rifiuto. A livello globale le negoziazioni per un trattato internazionale puntano a ridurre la produzione, limitare le sostanze tossiche e imporre trasparenza nei cicli produttivi. Tuttavia il confronto si scontra con le resistenze dei paesi che vedono nella plastica una risorsa economica e strategica. Intanto la produzione mondiale continua a crescere. Entro il 2040 potrebbe superare i mille milioni di tonnellate l’anno.
Eppure esistono alternative concrete. Alcune città stanno già vietando gli imballaggi monouso. In Rwanda il bando sulla plastica leggera ha ridotto la dispersione ambientale di oltre il 60 per cento.
In Europa sistemi di deposito cauzionale hanno portato i tassi di riciclo oltre il 90 per cento in diversi paesi del nord. Le aziende più innovative stanno sperimentando materiali compostabili bioresidui e soluzioni riutilizzabili ottenendo una riduzione delle emissioni fino al 70 per cento rispetto alla plastica tradizionale. Se sostenuta da politiche adeguate la bioeconomia potrebbe generare milioni di posti di lavoro sostenibili nei prossimi decenni. Sul fronte della salute serve un approccio precauzionale immediato. The Lancet ha lanciato il progetto «Countdown on Health and Plastics» per monitorare i livelli di esposizione e i danni sanitari legati alla plastica. È fondamentale integrare il costo sanitario della plastica nelle politiche pubbliche. Bisogna inserire la plastica tra i fattori di rischio ambientale, riconoscere l’impatto sanitario come parte integrante del danno ambientale e attivare programmi di sorveglianza nelle comunità più esposte. Anche le scelte individuali contano. Ridurre l’uso di plastica monouso, preferire contenitori riutilizzabili, scegliere prodotti con imballaggi sostenibili fa parte di una responsabilità condivisa. Ma serve anche un’azione istituzionale forte. Tasse ambientali sulla plastica vergine, incentivi all’economia circolare, obblighi di ecodesign per gli imballaggi, limiti alla pubblicità dei prodotti più dannosi. Tutto questo può fare la differenza. La plastica è una pandemia silenziosa. Non si vede ma si ingerisce si tocca si respira e i suoi effetti attraversano le generazioni. La sfida oggi è trasformare la consapevolezza in azione, la politica in soluzioni concrete, il profitto in responsabilità collettiva.
Perché il vero costo della plastica non si misura solo in miliardi. Si misura nelle vite che potremmo ancora salvare.