La vela

Taranto: Ida Castiglioni, mito della vela, incontra la città

Maristella Massari

Nel ‘76 la sua traversata dell’Oceano

TARANTO - Ida Castiglioni è stata la prima donna italiana a iniziare e chiudere, dopo 37 giorni di mare, la «Ostar», la più dura e celebre regata per navigatori solitari, che va da Plymouth, in Inghilterra, a Newport, in Usa. Nel 1976, allora giovane velista, percorse oltre 3 mila miglia spesso in condizioni mare proibitive. Diventerà architetto, poi giornalista. Lavorerà nel design e nella comunicazione.  Sfiderà senza radio le onde alte dell'Atlantico, senza terre intorno, sfidando lei così minuscola e in apparenza fragile, violente tempeste e onde alte quanto un palazzo di 10 piani. Invitata a Taranto dall’ammiraglio di divisione Flavio Biaggi, comandante interregionale marittimo sud, ha incontrato velisti e appassionati all’interno della manifestazione di vela «Double Mixed Offshore World Championship», organizzata da Difesa Servizi S.p.A. e SSi Events con il supporto del Comune di Taranto e sotto l’egida di World Sailing.

Lei è un mito della vela e un faro anche per molte donne. A bordo della sua barca «Eva» demolì molti tabù...

«Non avevo fidanzati, squadre, nessuno che mi aiutasse a prepararla, “l’impresa”. La mia famiglia era contro. Ma una madre che non si era mai persa dietro pettegolezzi che indeboliscono e scoraggiano mi ha insegnato in silenzio l’immenso valore di passare sempre leggeri dentro le situazioni. Mio padre mi sosteneva, era uno sportivo...».

Tra mille peripezie riuscì a raggiungere la costa degli Stati Uniti. Non fu cosa da poco...

«All’arrivo - trentesima su centoventisei - pesavo 13 chili in meno della partenza. Ricordo il buio totale, in notti in cui non si poteva dormire, il farlo al mattino per dieci minuti alla volta, con al collo un orologio-sveglia, perché c’era sempre il pericolo di navi e iceberg che si confondevano nella nebbia, la minaccia delle trivellazioni petrolifere con le loro esplosioni dove non te le aspettavi. Ricordo gli odori, quello del carburante delle navi che mi passavano accanto, il rumore della carena sbattere nella tempesta».

Quando è scoccata la scintilla tra lei e il mare?

«Sono di Varese. Quando ero piccolina ho vissuto in una grande villa con le murelle alte. Da figlia maggiore sono stata lasciata spesso libera. Leggevo, leggevo tanto. I libri mi hanno aperto la mente e regalato libertà di pensiero che è diventata libertà d’azione. Frequentavamo il mare della Liguria, ma il vento l’ho incontrato a Caprera. Ho scoperto la vela, ma anche un modo di vivere. Nel giro di due anni ho fatto tutti i corsi e sono diventata istruttore».

All’epoca ha sfondato il cosiddetto tetto di cristallo...

«È un problema che non ho mai rilevato, però evidentemente le donne in barca o erano le mogli, o le figlie, o le amanti. Era quasi impossibile vivere da protagonista questo sport. Io devo dire che non ho mai avuto grossi problemi, nel senso che ero molto seria, mi impegnavo sempre come in tutte le cose della mia vita e quindi ho fatto così anche sulle barche».

Dove ha trovato tutta questa forza?

«Avevo imparato a dirmi “brava!”. In mare durante la traversata in solitaria ho trovato mare 9. Sono stata costretta a fare delle fatiche enormi. La barca era quasi sempre sott’acqua. Da questa esperienza ho tratto diversi insegnamenti. Prima di tutto ho imparato a darmi una metodologia: prima di uscire in coperta decidevo esattamente cosa avrei fatto. Ero organizzata e poi, alla fine del lavoro mi premiavo. Mi dicevo se esci adesso stai fuori mezz’ora al freddo, però poi quando torni stai lì e ti riposi. L’importante in certi casi è non drammatizzare, io non ho mai veramente avuto paura».

Cos’è per lei la vela?

«È un mondo che ti mette alla prova, verifica la tua passione. Ti insegna anche a pendere le cose della vita con una certa leggerezza, ti insegna a non lamentarsi mai, perché in mare, come nella vita è così: potrebbe sempre peggiorare».

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