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Tennis, il tarantino Fabbiano lascia, racchetta in soffitta

Roberto Longo

Il campione si ferma dopo 18 anni sui campi: «È stato un viaggio fantastico»

La notizia era nell’aria da tempo, mancava solo l’ufficialità arrivata ora a sancire la fine di una lunga carriera, quella di Thomas Fabbiano, il tennista pugliese di maggior talento e classifica dopo Gianluca Pozzi. Tarantino di Grottaglie, 34 anni, 18 dei quali passati nel mondo del tennis professionistico, Thomas ha deciso di appendere la racchetta al chiodo e lo ha fatto senza troppo rumore, a modo suo, affidando la notizia al mondo dei social.

Fabbiano, è giunta l’ora di tracciare un bilancio?

«È stato un lungo viaggio, pieno di momenti di gioia e delusioni. Sono soddisfatto, ho dato tutto me stesso dal primo giorno, da quando ho iniziato a giocare nella mia amata terra fino ad arrivare ai campi più prestigiosi del mondo. Guardandomi alle spalle mi vengono i brividi, era nato tutto come semplice divertimento ed è diventato un lavoro».

Da pochi mesi è diventato papà di Leonardo, come è cambiata la sua vita? Nuove priorità?

«Il 24 agosto è nato il piccolo Leonardo. Tutti mi hanno sempre detto che sarebbe stata un’emozione indescrivibile, che solo vivendola l’avrei capita. È il primo pensiero quando mi sveglio e l’ultimo prima di addormentarmi, lo cerco durante la notte. È la mia, la nostra priorità e ogni giorno impariamo qualcosa noi da lui».

Al suo fianco la compagna Giorgia, sullo sfondo la presenza discreta e rassicurante della sua famiglia: papà Stefano, mamma Giovanna e la sorella Valentina. L’ultimo match ufficiale nel circuito professionistico risale al 31 luglio dello scorso anno, ed ora il ritiro dalla scena agonistica mondiale: come è arrivato a questa decisione?

«A dicembre scorso ho deciso che è arrivato il tempo di iniziare un nuovo capitolo della mia carriera, di scoprire cosa la vita mi può ancora riservare. È stata una decisione difficile da prendere, chiunque sia stato uno sportivo, indipendentemente dal livello, sa cosa significa dire quel famoso “basta”. Ma sento che è arrivata l’ora di voltar pagina».

Dal maestro Mario Pierri a Cristian Brandi, passando per Potito Starace e Max Sartori: nel suo messaggio social ha voluto ringraziare tutti.

«Per ogni momento trascorso sul campo da tennis o in palestra, per avermi sia sopportato che supportato. È stato un viaggio affascinante, pieno di momenti che mi hanno dato una corazza per poter affrontare nuove sfide e continuare a godermi la vita. Sì, perché dopo una carriera tennistica c’è ancora spazio per tanto altro».

Campione di singolare del Roland Garros under 18, nella Top 100 a 27 anni e giustiziere di scalpi eccellenti tra i quali i top ten Wawrinka, Tsitsipas e Thiem, con 6 vittorie Challenger in bacheca, altre 8 finali, due convocazioni in Coppa Davis ed una partecipazione alle Olimpiadi a coronare una carriera di altissimo profilo. In barba ad una struttura fisica in controtendenza rispetto agli standard del tennis moderno, lei è riuscito a raggiungere la 70ª posizione del ranking. Qual è stato il segreto di una carriera così lunga?

Sono stato seguito benissimo fin da piccolo, avevo uno staff che mi ha permesso di crescere sotto tutti gli aspetti. Fin da under 12 andavo settimanalmente da osteopati e fisioterapisti di alto livello. Ho sempre curato la preparazione atletica, partendo dalla prevenzione agli infortuni. Nulla viene per caso, ho lavorato tanto durante questi vent’anni e sono molto orgoglioso di quello che ho fatto».

Il momento più bello e quello meno bello della sua carriera?

«Ci sono state tante emozioni lungo il percorso. L’ingresso nei top 100 sicuramente è stato un momento in cui ho pensato che avevo fatto qualcosa di importante. Il momento più brutto quello subito prima della pandemia. Avevo perso gli stimoli, non mi piaceva più andare in campo e sacrificarmi dal punto di vista mentale ogni giorno. Tutte le partite mi sembravano una sofferenza, fermarsi per qualche mese è stata una delle scelte migliori della mia carriera».

A quale collega si è ispirato?

«Federer è stato il mio punto di riferimento durante tutta la mia carriera. Mi è sempre piaciuto il suo modo di fare, dentro e fuori dal campo. Porterò sempre dentro di me tutti i suoi consigli e le chiacchierate durante i nostri allenamenti».

A San Giorgio Jonico con suo fratello e sua sorella state per aprire un centro dedicato al padel, sarà la nuova frontiera? Intanto la sua conterranea Roberta Vinci brilla anche nel padel.

«Si, volevamo creare qualcosa per il nostro territorio, dare vita a un luogo di svago e di incontro per tutti, ma anche di crescita individuale e collettiva. Seguo la Vinci e vedo che anche nel padel è una grandissima campionessa, spero che possa venirci a trovare nel nostro centro e chissà far qualcosa insieme per la nostra amata città».

Ha mai immaginato di poter fare il coach? Magari seguendo qualche tennista pugliese?

«Mi piacerebbe rimanere nel mondo della racchetta. Non ho ancora deciso in quale veste. La priorità, al momento, è veder crescere il piccolo Leonardo».

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