Musical

Teatroteam di Bari, tra lustrini e dittature il successo di «Cabaret»

Livio Costarella

Grande partecipazione allo spettacolo che racconta anche il nostro tempo: Arturo Brachetti e Diana Del Bufalo i nomi pop di un cast straordinario, in un musical tra i migliori mai visti negli ultimi anni

«Non permettere che qualche profeta di sventura porti via ogni sorriso. La vita è un cabaret, vecchio amico. Vieni al cabaret». In uno dei versi più intensi della nota canzone «Cabaret» c’è il sinistro doppio volto di un capolavoro. C’è il sentimento di una gioia irrefrenabile e libertina, stracolma di energia e trascinante nell’intrecciarsi di corpi e anime; ma vi è anche una sensazione cupa sullo sfondo, incapace di scorgere un passo dal baratro, che di lì a breve arriverà. È in questo doppio binario, abilmente costruito, che si snoda la narrazione straordinaria di «Cabaret - The Musical», andato in scena al Teatroteam di Bari in tre affollatissime date, con i lunghissimi applausi che hanno giustamente omaggiato tutti i protagonisti.

La sfida è di quelle di altissimo livello: prodotto da Fabrizio di Fiore Entertainment, questo «Cabaret» è un vortice che ti rapisce dal primo all’ultimo minuto, con autentici fuoriclasse. In primis Arturo Brachetti e Diana Del Bufalo, i nomi pop di un cast in cui ognuno costruisce un pezzo maginifico, in un puzzle rutilante e provocatorio, ammiccante e scioccante, ma pure tenero e commovente. La regia è dello stesso Brachetti e di Luciano Cannito, nomi che non hanno bisogno di presentazioni: e stavolta l’Arturo magico trasformista, pur non rinunciando a qualcuno dei suoi numeri a effetto (con cambi d’abito talmente istantanei da lasciare sempre a bocca aperta), si conferma attore perfetto per un musical. Persino nel canto, dove svela doti vocali mica da poco: nella scanzonata «Two Ladies», nella sensibilissima «If You Could See Her» e nella celebre «Willkommen», che dà il benvenuto nel Kit Kat Club, in un incipit folgorante.

Sì, perché in questo show ci sono tutti gli elementi della Berlino anni ’30, sfrenata e seducente: così come li racconta Cristopher Isherwood nel romanzo autobiografico «Goodbye to Berlin», che dà il la a una storia basata su personaggi ed eventi reali. In una città sfavillante, con i suoi cabaret, i bordelli, la frenetica vita notturna: in un crogiuolo di artisti, liberi pensatori e gente comune, la cui maggior parte era inconsapevole dell’avvento del nazismo. Lo spettacolo narra la storia di uno scrittore americano sbarcato a Berlino (Clifford Bradshaw, interpretato dal bravissimo e misurato Cristian Catto) che si innamora di Sally Bowles (la scoppiettante Diana Del Bufalo), ragazza inglese dai liberi costumi. Condividono una stanza in una pensione modesta, tenuta da una anziana zitella tedesca (l’intensa Fraulein Schneider di Christine Grimandi), innamorata a sua volta di un fruttivendolo ebreo (Fabio Bussotti, dolce e tenero nei panni di Her Schultz).

Fulcro della narrazione è il Cabaret Kit Kat Club dove Emcee, il presentatore ambiguo e irriverente impersonato da Brachetti, si prende gioco della libertà sessuale e del potere. Alla fine, l’arrivo del nazismo spegnerà questa libertà di pensiero e di costumi, in un finale dallo struggente nodo in gola. La famosa versione cinematografica di Bob Fosse del 1972, con Liza Minnelli, resta ampiamente sullo sfondo: Diana Del Bufalo è ormai uno dei talenti acquisiti del musical e dello spettacolo italiano, con una voce che buca il teatro come poche. La sua interpretazione di «Cabaret» giunge dritta al cuore, con un dosaggio nei toni della voce che cattura dal primo istante.

E se anche Giulia Ercolessi, (Fraulein Kost) e Niccolò Minonzio (Ernst Ludwig) sono due perfetti caratteristi, il resto lo fa l’affiatato ensemble coreografato da Luciano Cannito, formato da Francesco Cenderelli, Simone Centonze, Elisabetta Dugatto, Felice Lungo, Ivana Mannone Stefano Monferrini, Gaia Salvati e Susanna Scroglieri. Con la ciliegina della band musicale dal vivo, sistemata in cima alla scenografia, a vista dietro un velo, composta da Gianmarco Careddu, Ermanno Dodaro, Paolo Rocca, Roberto Rocchetti e Piero Loreti. È un musical totale, tra i più belli visti negli ultimi anni in Italia: contornato dalle scene semoventi di Rinaldo Rinaldi, i costumi di Maria Filippi e la direzione musicale di Giovanni Maria Lori. Si resta incantati e avvinti, sconcertati e sorpresi, nella profonda lettura del doppio segmento narrativo, tra lustrini dorati e le svastiche incombenti. Il finale, con Brachetti denudato e rivolto verso una camera a gas, è un monito impossibile da dimenticare. Così come è inevitabile spellarsi le mani davanti al lavoro enorme che c’è dietro a questo spettacolo.

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