Una mela al giorno

Halloween, tutti i Santi ed i Morti: triduo di metà autunno

Nicola Simonetti

Amato dagli anglosassoni, Halloween ha radici complesse, a metà strada tra il mito celtico e la realtà folkloristica

Che resti il semplice e giocoso "Dolcetto o scherzetto!"…  festa commerciale e priva di significato m,a anche una porta aperta verso l'Altro Mondo… un vero e proprio intermezzo temporale, che segnava anche una tregua nei combattimenti o la fine dei lavori agricoli. La prima festa di Ognissanti e il 2 novembre nell'anno 835… La  tradizione della zucca nel 1750 in Irlanda e Scozia (Marine Benoit su Sciences et Avenir).

Che la fantasia sana ci accompagni e fughi odi, guerre e rancori nel mondo intero. Gioiamo, cantiamo, scambiamoci dolcetti e/o scherzetti ma anche gli auguri onomastici. Fa così bene ricordarcelo almeno una volta l’anno. Che triste quel “giorno” del nostro nome senza che nessuno o pochissimi se ne ricordino.

Una abbandono inespresso, punitivo che non consente constatare la nostra appartenenza alla comunità. Ed allora scambiamoci il “buon onomastico”. L’1 novembre ognuno (anche chi non crede nei Santi) si senta comunità, si riappropri della propria identità-persona, si senta protagonista, si apprezzi uno (importante) tra gli altri. “Farsi gli auguri allieta la giornata… aggiunge almeno un giorno o più (a seconda della partecipazione)  alla vita del festeggiato e zittisce malumori, ubbie, recriminazioni” (detto cinese del X sec.). Cin Cin, allora. Ognun per sé e tutti per uno.

Il terzo dì: è invito a ricordare chi, nel bene o nel male, ci ha preceduti, i ricordi  “rivivono” e, molto spesso, il dolore torna a farsi vicino, riporta la morte nelle nostre conversazioni, i dolori personali che restano, quelli che non finiscono mai del tutto e che ognuno porta in silenzio.

“Il dolore della perdita non chiede di essere guarito, ma accolto. Ciò che ferisce – spiega Alessandra Bitelli, coach e autrice de “Il primo romanzo utile del coaching” – non è la morte in sé, ma la difficoltà di chi ci circonda,  a restare. La fuga degli altri, l’imbarazzo di chi non sa cosa dire o come comportarsi, finisce per rendere quel dolore ancora più silenzioso e profondo”. Il lutto può avere molti volti, da quello della perdita di una persona, di un animale o di un legame che ha dato senso alla nostra vita.

Il posto di un qualcuno importante nella nostra esistenza non resta vuoto perché diventa immenso. Si percepisce una mancanza che non si limita al ricordo, ma invade i gesti quotidiani. Ogni oggetto, ogni suono, ogni abitudine diventa un rimando. Il lutto è un’altalena di emozioni che vanno dall’incredulità alla rabbia fino all’accettazione. E la rabbia serve spesso a spostare altrove il dolore, a trovare un colpevole che non sia noi stessi. È una forma di difesa temporanea, necessaria per sopravvivere a un senso di impotenza assoluto. Nella perdita c’è sempre un momento in cui si riavvolge il nastro e si pensa a tutto ciò che si sarebbe potuto fare diversamente. E quasi sempre arriva anche quella sensazione sottile di non aver fatto abbastanza, di non aver detto o dato tutto ciò che si poteva. È il modo in cui cerchiamo di dare un senso a qualcosa che non ne ha”.

“Viviamo in un mondo  continua Bitelli - che rimuove ciò che non è produttivo, che non serve, che non si può ottimizzare. La morte non rientra in nessuna di queste categorie. È lenta, definitiva e inaccettabile per una cultura che corre e vuole dimenticare. Eppure è proprio in questa lentezza che il lutto insegna qualcosa: a fermarsi, a dare valore al silenzio, a comprendere che la vita non si misura in quanto dura, ma in quanto lascia”… la sofferenza si attenua  solo quando viene riconosciuta, accolta, ascoltata senza giudizio… L’amore, quello vero, non consola: accompagna”.

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