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Diversamente Sanremo. Anche il Festival prova ad essere “avanti”: ma... ci fa o ci è?

Emanuela Megli

Specchio della società attuale, il Festival della Canzone italiana, si muove tra il già e il non ancora, il vorrei ma non posso, anche nello stile

C’è aria di temi profondi a Sanremo 2024, nella presentazione dei testi delle canzoni, viene spesso dato rilievo agli argomenti della diversità, dell’auto accettazione, dell’inclusione di genere, di etnia e di età, dimostrando, persino nelle scelte di regia, di voler essere al passo con i tempi, con presentatori diversi, con una carrellata in alternanza tra donne e uomini, giovani e anziani e che si può mescolare vecchio e nuovo, tradizione e innovazione, in un connubio ancora imperfetto e talvolta un po' studiato a tavolino in stile politically correct, che però non risponde ad un’autentica congruenza di integrazione delle diversità e delle complessità contemporanee. 

Specchio della società attuale, il Festival della Canzone italiana, si muove tra il già e il non ancora, il vorrei ma non posso, anche nello stile sempre più informale, un po' vero e un po' recitato, che poi incontra gaffe come quella di aver coinvolto un attore del calibro di Travolta in gag un po' riduttive che avrebbero fatto chiacchierare non poco se al suo posto ci fosse stata una attrice donna. E sarebbe stato subito caccia alle streghe e alla incapacità di dare valore alla sostanza oltre che solo alla forma, all’esteriorità. Un tranello in cui cadono spesso anche le presentatrici donne, quando fanno apprezzamenti verso attori come Russell Crowe, facendo espliciti riferimenti al loro intramontabile sex appeal, anche se ormai quasi del tutto sfiorito. Bisognerebbe riuscire ad evitare la sessualizzazione degli apprezzamenti a prescindere dal genere o almeno a limitarlo solo ad un complimento breve, per poi mettere in evidenza altro, se presente.

C’è tuttavia da salvare il tentativo - anche se ancora mal riuscito - di stare nel solco di un nuovo modo di sentire la società nella sua ricchezza di contributi, dove le minoranze spesso trovano la possibilità di portare un messaggio, che anche se strumentale alla celebrità e alla vittoria, rappresenta pur sempre un modo di parlarne e di sensibilizzare su questioni calde. 

C’è chi sogna un Sanremo in cui i temi forti della contemporaneità, non siano solo nei contenuti dei monologhi, delle canzoni e discorsi profondi in bocca ad ospiti chiamati ad hoc, per aumentare il pathos e il coinvolgimento emotivo del pubblico, ma che siano presenti anche nei siparietti trasversali al programma (in cui invece ancora vengono fuori gli stereotipi e i condizionamenti sociali delle persone oltre i loro copioni), come effetto reale del coinvolgimento di persone che sono esempio di una vita vissuta con coerenza su quegli aspetti. 

Chissà se un prossimo Festival, sarà frutto di una cabina di regia che sappia davvero sfidarsi e mettersi in gioco nella vita reale, non solo fatta di “over” posizionati nella stanza dei bottoni e sullo sfondo, scegliendo la certezza della continuità con presentatori ufficiali di “salvataggio dell’indirizzo artistico e politico”, che fanno di tutto, ma invano, per essere contemporanei. Chissà se ci sarà una regia davvero nuova, magari gestita da una direzione artistica di un gruppo di esperti eterogenei per età, sesso, etnia, cultura, status, “interesse”, i quali lavorando insieme, conoscendosi e colmando la distanza culturale, possano scommettere sulla coesione e integrazione, offrendo anche a noi spettatori una nuova prospettiva comune, armoniosa e autentica di coesistenza della complessità, nel rispetto della diversità. 

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