Arte

Melendugno, ecco i magnifici affreschi dell’Abbazia di San Niceta

Toti Bellone

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Ciclo pittorico distribuito sugli spazi dei tre archi gotici che costituiscono la parete sinistra e sugli altri che racchiudono l’abside, sorprende per la vivacità dei colori, rosso e blu soprattutto, ma anche per l’eleganza e la spiritualità dei personaggi rappresentati

Nel Salento, nella prima periferia di Melendugno, la cittadina di diecimila abitanti poco distante da Lecce, una linda stradina di campagna, conduce all’antica Abbazia di San Niceta. Costruita nel 1167, epoca del re normanno Tancredi d’Altavilla, e vissuta dai monaci basiliani e benedettini, all’interno dell’unica ed ampia navata di forma rettangolare, conserva un ciclo pittorico di assoluto pregio. Distribuito sugli spazi dei tre archi gotici che costituiscono la parete sinistra e sugli altri che racchiudono l’abside, sorprende per la vivacità dei colori, rosso e blu soprattutto, ma anche per l’eleganza e la spiritualità dei personaggi rappresentati, quasi tutti a figura intera.
La splendida sequenza da ammirare con calma e per così dire aiutati dal silenzio del luogo, inizia con i Santi Antonio da Padova e Nicola, con al centro San Paolo con la spada. A seguire, accanto ad una scritta in greco, ecco una serafica figura femminile non identificata, una  Crocifissione e San Rocco. E poi ancora, una Madonna col bambino, San Vito con un  crocifisso nella mano destra e l’Abate Sant’Antonio. Superato  l’altare, che è in pietra leccese, brillano una seconda Crocifissione con la Vergine, San Giovanni Evangelista ed il Cristo piagato con accanto l’iconica frase “Mors mea vita tua”, ed infine, la Madonna di Loreto che reca in braccio il Bambino. La prima serie di dipinti risale al 1563, la seconda, più antica, al Quattrocento.
Vale aggiungere, che appena varcato l’ingresso del luogo di culto, accanto al quale si trova un bel pozzo dal quale si attingeva l’acqua, all’inizio della parete destra, spunta parte di una Madonna trafitta da tre frecce, caratterizzata dalla lettera S, che quasi certamente, è l’iniziale della parola “Sancta”. 
Oltre alla navata, completamente buia, dopo la soppressione delle finestre avvenuta in occasione di uno dei rimaneggiamenti, la  Chiesa è dotata di un altro ed unico ambiente, utilizzato come Sacrestia, all’interno del quale  spiccano due nicchie, decorate con motivi floreali della seconda metà del XIV secolo.
Resta da aggiungere, che la Chiesa, realizzata nello stile romanico pugliese, è quanto rimasto del Monastero, i cui scavi per tentare di riportalo alla luce, sono da tempo in corso. Sino ad oggi, oltre ad un “tesoretto” di monete bizantine dell’XI secolo e ad un “denaro” di Federico II coniato nella zecca di Brindisi, sono state scoperte sei sepolture appartenenti al Cimitero abbaziale, parti di un edificio con incisioni in greco, trenta fosse granaie scavate nella roccia e venticinque silos con tracce di grano.
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