Un posto al cuore
Quella giovane commessa che ha ridato vita al clochard
In un negozio di Monza la storia - simbolo di questo Natale
Pare proprio un apologo, la storia successa a Monza della commessa che ha regalato al clochard una giacca e dei pantaloni del valore di centocinquanta euro, salvandolo dal freddo ma anche, parrebbe, quantomeno temporaneamente tirandolo fuori da molti più guai e da molte più cose, compreso da sé stesso, da un disagio psichico profondo.
Una storia di Natale, “Christmas Tale”, certo, per come dice tanto sul valore della generosità, sul senso del dare. E anche, molto dice sull’empatia, qui da intendersi non solo come un «mettersi nei panni», di più: qui i panni la commessa li ha proprio dati, ha rivestito quell’uomo senza dimora, senza relazioni con la realtà, solo e del tutto smarrito e che era entrato nel negozio per quanto si sentiva gelare, dentro e fuori.
Buona samaritana lei, si può leggere così; ma anche, ancora, l’episodio dice altro.
Subito, non appena entrato nel negozio. l’uomo alla ragazza era parso strano: trasandato, gelato, evidentemente senza denaro. E anche e soprattutto, a colpirla di lui è stata l’espressione tremendamente triste che gli ha letto nello sguardo.
Dalla Francia, lui era arrivato nel nord Italia mosso più ancora che dalla miseria e la fame, da una grande depressione. Senza saperlo, la commessa rendendolo noto alle forze dell’ordine e con il suo gesto di donargli quei vestiti ha fatto sì che l’uomo “ricomparisse” così ripalesandosi ai suoi cari, che nell’angoscia senza avere più sue notizie da tempo avevano lanciato l’allarme e che subito si sono messi in macchina per tornare a prenderlo, grati e commossi per l’iniziativa della giovane commessa.
L’elemento più cruciale di questa storia di generosità e altruismo, un episodio che solo in modo involontario diventa (o potrebbe diventare) apologo di Natale, è però un altro, un dettaglio che la complica e insieme la fa più profonda ancora nel significato simbolico.
Ovvero, la presenza nella trama dello svolgersi dei fatti, di uno specchio. Nello specchio di un camerino (da cui poi non voleva più uscire) l’uomo si guardava e si rimirava rimpannucciato negli abiti caldi. La giovane commessa, più di ogni altra cosa, da quello sguardo di lui lanciato a se stesso si è tanto intenerita, è stato quel vederlo che si specchiava a convincerla (così ha raccontato) a privarsi di centocinquanta euro del suo magro stipendio per regalare quei vestiti caldi a lui.
Secondo la teoria dei neuroni a specchio che anni fa è stata la grande scoperta di due neuro scienziati italiani da cui la spiegazione di cosa sia l’empatia, ogni essere comprende gli stati d’animo di un altro essere guardandolo.
Qui invece, nel negozio di Monza, nella dinamica tra la commessa e l’uomo senza dimora che entrato, smarrito infreddolito e potenzialmente avventore aggressivo, le ha toccato il cuore sino a renderla capace di un gesto nobilmente generoso, l’empatia è sopraggiunta (spontanea, calda, comprensiva al massimo) dall’atto di guardare un altro guardare sé stesso.
Mettersi nei panni e dare panni a chi panni non ne ha, osservando il modo come lui si osserva: e lì, in quello sguardo auto-riflessivo e spiato, comprendere a ritroso tutta la portata di un malessere, di una depressione, di una necessità vitale di attenzione, amore, salvezza.
Se la vicenda è tanto bella, e sa parlarci di più ancora adesso che è Natale, è perché dice di un “mettersi nei panni” che da solo non basta, perché i panni anche bisogna saperli dare. Scaldare, aiutare, farlo concretamente e non in teoria. E poi, anche, è bella perché c’è la presenza di quello specchio, e dello sguardo trasfigurato che nella lastra dello specchio l’uomo ha rivolto a se stesso nel mentre si vedeva bene rivestito e rimpannucciato, e la traiettoria non invasiva ma massimamente comprensiva della ragazza che lo ha guardato guardarsi.
Guardiamo, torniamo a guardare il prossimo. Sarà la più bella strada per migliorarci e migliorare lo stato dei nostri cuori.
Buone Feste a tutti.