Ritratti
Sapori salentini nei bar nati dai sogni di tre amici
Da Bologna a Leverano, storie di uomini che si reinventano
«Gli uomini sognano più il ritorno che la partenza», scriveva «l’Alchimista» di Paulo Coelho.
E Antonio, alchimista salentino di Leverano (Lecce), forse quel ritorno lo serbava nel cuore quando, studente universitario a Bologna, pensava ai campi di terra rossa dei suoi genitori e piegava la testa su sudate carte che poco s’attagliavano alla sua indole ribelle.
Oggi il ragazzo è tornato alla base, ed è icona di un bartendering sempre più di tendenza, che racconta di materie prime e basi naturali, artigianalità e origini. Sapori che richiamano quella terra degli esodi momentanei e degli approdi definitivi. Un locale proprio nella città universitaria per eccellenza che parla di sud, e il suo clone nel Salento, Barattolo si chiama il primo, Barattolo a sud, ça va sans dire, il secondo.
Un piccolo rewind, con nastro che veloce va indietro.
Era il ’98, aveva 22 anni, esattamente la metà dell’età attuale, studiava Ingegneria e viveva il fermento culturale de La Dotta, «ma fu un fallimento». Perché la terra se le appartieni chiama sempre e ti fa tornare, solo che lui non lo sapeva. Ancora.
«Un nuovo tentativo, con la facoltà di Storia, arrivai quasi alla fine ma fu un altro fallimento», sorride Antonio Paladini dietro la sua parannanza all inclusive, piena di lacci, tasche, stringhe per avere a portata di mano arnesi e ingredienti al contempo.
Fu un bicchiere di troppo sparigliare le carte di una notte bolognese, nel 2015.
«Ero con due amici e compagni di viaggio, miei coinquilini, uno di Vernole e l’altra della zona di Otranto. Avevamo bevuto, eravamo ubriachi all’interno di un locale, Il Barattolo nella zona universitaria. Sentimmo che lo stavano vendendo, senza manco accorgercene lo acquistammo».
Sbronzi, matti e pieni di sogni.
I soci sono sempre tre, Antonio e Piero sono lo zoccolo duro della follia di allora, al posto della coinquilina invece è subentrato un amico di Foggia.
Un altro imprevisto vira al timone di questo viaggio di vita, la pandemia.
«Sono sceso a Leverano, i miei colleghi si sono fidati. Qui ho deciso di aprire Il Barattolo a Sud».
Locali gay friendly i loro, per questo balzati agli onori delle cronache quasi come se la normalità, l’accoglienza, l’inclusività facessero notizia.
«In casa nostra tutti devono sentirsi a casa loro - racconta il barman leveranese -, accolti, parte di noi. Chi non condivide la cultura dell’inclusione si sente fuori posto e non varca nemmeno la soglia del Barattolo. Selezione naturale si chiama».
Sentimenti a 360 gradi se si guarda all’evoluzione del cocktail bar salentino, costola del primo, in cui i tre amici hanno investito.
«Sono sempre stato legato al lavoro dei miei genitori, mi mancava la terra e allora l’ho resa protagonista delle mie creazioni preparando da me, dopo aver seguito corsi di specializzazione di alto livello in miscelazione, miscelazione avanzata, fermentazioni, quando ero su, infusi e basi naturali con basilico, fico d’india, spezie, limone, papavero, bergamotto, cappero, melagrana, agrumi, zenzero e tutti i prodotti di casa nostra».
Un’esperienza quasi trentennale nel settore del catering e ristorazione hanno fatto il resto.
«Partendo dall’azienda agricola dei miei, mi occupo della raccolta della materia prima, della lavorazione semplicemente in casa con pentoloni e tutto il resto».
Eccolo l’alchimista, i suoi alambicchi e le misture per preparare ad esempio gli shrub, particolari sciroppi alla maniera araba con all’interno aceto che consente la conservazione anche durante le stagioni calde, si diluiscono con alcol e la magia è fatta.
Tintinnio di arnesi da mixology d’autore: jigger, cobbler, strainer e bar spoon che gira vorticoso nel bicchiere. Vanno di scena il Basilisco, di verde vestito (indovinate un po’ qual è l’ingrediente di base?!), Acquadigiù ( di giù, sì, a fare il verso a quella di Giò) a base di anguria, Sita Brilla col melograno e …cappero! Alla porta c’è Piero, appena sceso da Bologna per dare una mano dietro al banco all’amico Antonio.
Fine della storia, scritta. Ora c’è un altro capitolo, da vivere.