Il caso
Telefonini in carcere a Taranto, chiuse le indagini su 30 detenuti
Non solo chiamate ma anche video su TikTok: si va verso il processo
Sono 30 i detenuti, per la quasi totalità tarantini, coinvolti nell’ultima inchiesta della procura ionica sull’utilizzo di telefoni cellulari all’interno del carcere «Carmelo Magli» di Taranto. Dispositivi elettronici per contattare il mondo esterno e introdotti nei modi più disparati dentro le mura del penitenziario ionico. Un’inchiesta coordinata dal pubblico ministero Francesco Ciardo che nei giorni scorsi ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini alle persone coinvolte. Nell’elenco dei carcerati che avrebbero utilizzato i cellulari per comunicare con familiari, fidanzate e amici, spunta anche il nome di Vincenzo Ciaccia – difeso dagli avvocati Pasquale Blasi e Salvatore Maggio – condannato in primo grado alcuni mesi fa a 10 anni e 8 mesi di reclusione per il tentato omicidio di Salvatore Albano, nel quartiere Paolo VI.
Per tutti gli indagati – alcuni dei quali assistiti dagli avvocati Marcello Ferramosca e Giuseppe Leoni - l’accusa è appunto quella di aver tenuto e usato illecitamente cellulari mentre si trovavano agli arresti.
Telefonate, ma anche video pubblicati su Tik Tok, dall’interno delle celle: attualmente sono almeno quattro le inchieste della magistratura che hanno a oggetto l’accesso indebito ai dispositivi elettronici e che contano complessivamente 87 persone. La prima delle quattro è firmata anche questa dal sostituto procuratore Francesco Ciardo e contesta a un 41enne tarantino di aver introdotto un microtelefono con l’aiuto di un complice al momento non identificato e di aver poi concesso agli altri 18 coindagati di utilizzarlo per effettuare telefonate o inviare messaggi.
La seconda indagine, guidata dal pubblico ministero Francesco Sansobrino, coinvolge invece altri 35 detenuti: anche per loro l’accusa è di aver utilizzato microtelefoni e smartphone per contattare fidanzate, mogli, genitori o parenti vari. Gli accertamenti dei poliziotti della polizia penitenziaria ha consentito inoltre di effettuare numerosi sequestri tra apparecchi elettronici e sim card.
L’ultima e forse più incredibile delle inchieste è quella del magistrato Remo Epifani e vede indagati tre detenuti, tutti tarantini, accusati non solo di aver utilizzato uno smartphone tra le mura della casa circondariale, ma di aver anche pubblicato un loro video sui social network. In particolare i tre tarantini, difesi dagli avvocati Pasquale Blasi, Maurizio Besio e Adriano Minetola, si sarebbero filmati mentre ballavano e cantavano in cella e poi avrebbero condiviso il contenuto su Tik Tok.
Non solo telefonini, ma anche droga: solo alcuni giorni fa è infatti scattato il blitz che ha portato a 25 arresti, di cui 9 ai domiciliari e 16 in carcere. Un’indagine condotta da Squadra mobile e polizia penitenziaria ionica e coordinata dal pm Lucia Isceri che nei mesi scorsi aveva chiesto l’applicazione delle misure cautelari per alcune delle 71 persone coinvolte. Vere e proprie piazze di spaccio autonome ma anche «grossisti»: nel mirino degli inquirenti non sono finiti soltanto alcuni carcerati, ma anche molti tra amici e familiari che si sarebbero prestati a fare da ganci esterni. Nelle carte dell’inchiesta emerge il ruolo dei «cavalli»: persone «disponibili a effettuare il trasporto e la cessione della droga all’interno del carcere» guadagnando fino a 1000 euro per ogni consegna.