il futuro
La nuova vita dell’ex Ilva potrebbe iniziare a marzo
È l’ipotesi avanzata dal ministro Urso alla luce dei passi previsti a valle dell’accordo sulla decarbonizzazione
Potrebbe partire da marzo 2026 il nuovo corso dell’ex Ilva di Taranto. È quanto ha ipotizzato il ministro Adolfo Urso mettendo in fila i passi da compiere dopo l’intesa sulla decarbonizzazione raggiunta a Roma con gli enti locali. Un primo passo necessario per giungere all’accordo di programma che, com’è noto, sarà redatto a settembre dopo che saranno giunte ai commissari straordinari le offerte degli acquirenti. Sulla base di quei piani industriali sarà infatti scelta la società con la quale avviare la negoziazione esclusiva durante la quale stabilire la localizzazione degli impianti per Dri, l’eventuale nave rigassificatrice, ma soprattutto il livello occupazionale di cui il nuovo stabilimento ionico avrà bisogno.
Acciaierie d’Italia in As ha presentato alcuni mesi fa la richiesta di ammortizzatori sociali per altri mille dipendenti, dopo l’incidente e il sequestro dell’altoforno 1, avvenuti il 7 maggio. L’incontro al ministero del Lavoro sulla richiesta è slittato più volte e, secondo fonti sindacali, potrebbe ora essere fissato per il 28 agosto alle 11. Al momento, però, non è ancora arrivata la convocazione ufficiale. La domanda complessiva dell’azienda riguarda la cig fino a 4.050 lavoratori, dei quali 3.500 nello stabilimento di Taranto, su un totale di poco meno di 9.800 addetti complessivi del gruppo.
Intanto sull'intesa firmata a Roma dal ministro Urso e gli enti locali è intervenuta Legambiente che, pur evidenziando la scelta «dello stop al carbone e della progressiva chiusura degli impianti dell’attuale area a caldo», ha puntato il dito contro il documento che non «scandisce i tempi, né dice nulla in merito all’approvvigionamento energetico e, in particolare, all’uso di energia pulita che dovrebbe essere alla base di una futura totale decarbonizzazione dello stabilimento». In una nota a firma di Stefano Ciafani (presidente nazionale), Daniela Salzedo (Legambiente Puglia) e Lunetta Franco (Legambiente Taranto), il movimento ambientalista ha spiegato che «il governo non assume alcun impegno volto a promuovere e facilitare gli investimenti sulle fonti rinnovabili, indispensabili per una effettiva decarbonizzazione degli impianti del siderurgico e - in generale - si rimanda il tema dell’approvvigionamento energetico, uno dei nodi principali da affrontare, a quando sarà trovato un acquirente per il sito di Taranto e per gli altri del gruppo, sia unitariamente che separatamente, nell’ipotesi non più remota di un possibile spacchettamento».
Legambiente ha inoltre sollecitato l’avvio immediato di una transizione verso l’elettrico alimentato da rinnovabili e la dismissione delle centrali oggi in parte alimentate dai gas d’altoforno. «Si attende ancora un effettivo piano industriale – ha osservato i firmatari - e il ruolo dello Stato è incerto. Siamo solo alla premessa di un accordo di programma dai contenuti ancora troppo vaghi. La decarbonizzazione totale è possibile entro il 2030, ma deve partire subito, insieme allo spegnimento del ciclo integrale. Nel frattempo, al governo ed alla azienda chiediamo scelte coerenti con gli obiettivi sottoscritti». Infine il movimento ha chiesto infine all’azienda di presentare all’Istituto superiore si sanità, entro i tre mesi indicati dall’Aia, l’aggiornamento della Valutazione di impatto sanitario «integrato con i dati che finora non ha fornito», a partire dalle «emissioni degli inquinanti biossido di azoto e il biossido dizolfo e delle emissioni della centrale termoelettrica».