L'inchiesta

Sparatoria a Taranto, autopsie sui corpi delle due vittime dopo il Far West al Rione Tamburi

ALESSANDRA CANNETIELLO

Il medico legale, che ha iniziato già questa mattina i rilievi, avrà a disposizione 90 giorni per consegnare le sue conclusioni.

È stato conferito questa mattina l’incarico al medico legale che eseguirà l’autopsia sui corpi del 45enne Carmelo Nigro e del 34enne Pietro Caforio, uccisi il 16 luglio alle “case parcheggio” nel conflitto a fuoco tra i membri delle due famiglie. Quella sera, alcune ore dopo il “far west” avvenuto nel quartiere Tamburi, era stato arrestato Michele Caforio, 35enne ora accusato di aver ucciso il 45enne e poi sparato, ferendolo, il figlio 20enne Michael Pio Nigro, come vendetta per l’umiliazione subita dal gruppo avversario, che aveva sminuito il nome della sua famiglia nel controllo delle piazze di spaccio all’interno del quartiere. Un’ipotesi, quella del metodo mafioso, che ha fatto sì che il caso finisse sul tavolo della Direzione distrettuale Antimafia di Lecce. I due pubblici ministeri che coordinano le indagini, Salvatore Colella della procura ionica e Milto De Nozza dell’Antimafia di Lecce hanno incaricato il dottore Francesco Introna di stabilire per entrambe le vittime, l’ora e la causa del decesso, la traiettoria e la distanza dei colpi, l’arma e il calibro utilizzato e le lesioni che ne hanno determinato la morte. Oltre a questo, i magistrati inquirenti hanno chiesto al medico legale di accertare, per il 45enne, se sulla testa vi sia una lesione compatibile con il calcio di una pistola.Infine, il consulente effettuerà una visita – con relativa acquisizione delle cartelle mediche e prelievi di sangue -  anche sul figlio 20enne di Carmelo Nigro, Michael Pio che si trova attualmente ricoverato al Santissima Annunziata per alcune ferite nella regione del collo, al fine di stabilire se il 35enne avesse mirato per uccidere.

Gli eventi di quella notte sono avvolti da alcuni punti ciechi sulla scena del delitto sono stati ritrovati i bossoli di una calibro 7,65 e di una 9x21. Di una terza arma, ne ha fatto menzione il 35enne Michele Caforio, ignaro di essere ascoltato, ha raccontato di essere stato inizialmente umiliato dal gruppo Nigro arrivato con due moto e tre pistole. Un confronto acceso tra questi, e in particolare Carmelo Nigro, e suo fratello Pietro, entrambi uccisi a pistolettate. 

Le armi non sono ancora state ritrovate: una di queste sarebbe in possesso del 35enne che nel corso dell’interrogatorio con il gip Giovanni Caroli aveva ammesso di averla portata via e di essere intenzionato a farla ritrovare agli investigatori. Difeso dagli avvocati Pasquale Blasi e Franz Pesare, nella sua ricostruzione, l’indagato ha sostenuto di aver tentato di placare la lite tra il fratello Pietro – colpito in pieno volto e al torace e deceduto nella giornata di sabato - e Carmelo Nigro - sparato alla testa e al torace - che quest’ultimo lo aveva minacciato per primo con una delle pistole che aveva addosso. Per questo lo aveva disarmato e colpito in testa con il calcio della pistola (nelle intercettazioni dice che era stato suo fratello Pietro a colpirlo) facendolo cadere per terra. Dopo essersi allontanato alcuni metri, aveva poi sentito due spari ed era perciò tornato indietro. Quando ha visto il fratello Pietro accasciato tra le braccia di suo figlio, anche lui sotto il tiro dell’arma del 45enne, gli ha strappato la pistola dalle mani e lo ha freddato con un colpo in testa, aprendo poi il fuoco anche contro il 20enne Michael Pio.

 Nel confermare il suo arresto (e rimettendo gli atti al tribunale di Lecce che nella fase preliminare delle indagini è competente sulle attività dell'Antimafia.) il giudice Giovanni Caroli ha riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso contestata dai due magistrati. Il gip ha spiegato infatti che «l'azione plateale, tracotante, a volto scoperto, manifesta il senso di impunità; un simile modo d'agire è normalmente tipico di consorterie criminali, consce dell'altrui omertà». Quella sera, all’arrivo dei poliziotti, le persone in strada, si erano chiuse nel silenzio rifiutando di collaborare alle indagini. Il movente di Michele Caforio, per i magistrati inquirenti, è quello di lavare l’onta dell’offesa compiuta dai Nigro che avevano sminuito il suo valore criminale e l’influenza del gruppo Caforio nel contesto dello spaccio delle “case parcheggio”, del quartiere Tamburi. Uno sgarro inaccettabile che si è concretizzato in una sorta di spedizione durante la quale sono volati gli insulti verso i Caforio: parole che hanno innescato le reazioni e infine il tragico epilogo.

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