La notizia
Taranto, un detenuto tenta il suicidio in ospedale: condannati due poliziotti penitenziari
Il tribunale ha inflitto una pena (sospesa) a due anni per entrambi
Sono stati condannati a 2 anni con pena sospesa i due agenti di polizia penitenziaria coinvolti nell’inchiesta nata dopo il tentato suicidio di un detenuto all’interno dell’ospedale Santissima Annunziata. A emettere il verdetto è stato il collegio presieduto dal giudice Loredana Galasso che ha inflitto una pena più bassa dei 3 anni e 6 mesi formulati dalla pubblica accusa. I magistrati hanno infine stabilito che il danno dovrà essere quantificato in sede civile.
I fatti risalgono a marzo 2018 quando il detenuto, ancora oggi in coma, era stato trasferito per problemi di salute dall’istituto «Carmelo Magli» nella cella sanitaria all’interno del nosocomio ionico. I due poliziotti, difesi dagli avvocati Gianluca Mongelli e Gianluca Sebastio, erano dotati «di una postazione con sistema di videosorveglianza» che inquadrava la stanza con l’obbligo di tenere l’uomo sotto stretta osservazione: il 25 marzo di 7 anni fa, però, il detenuto aveva dapprima legato un’estremità del maglione alla cerniera della porta del bagno della stanza e poi aveva stretto l’altro lembo intorno al collo nel tentativo di farla finita senza che i due agenti, secondo il quadro accusatorio, se ne accorgessero. L’uomo era rimasto in quella posizione «per circa 25-30 minuti»: la prolungata mancanza di ossigeno aveva così causato una serie di danni all’organismo al punto che da quel giorno l’uomo versa in uno stato vegetativo permanente.
In quell’intervallo di tempo, secondo gli inquirenti coordinati all’epoca dal pubblico ministero Giovanna Cannarile, i due poliziotti «pur essendo obbligati a intervenire con assoluta urgenza, si portavano – si legge negli atti dell’inchiesta - all’interno della stanza in soccorso del detenuto solamente dopo un lungo lasso di tempo».
Ed è per questo che l’accusa, al termine delle attività investigative, ha contestato agli imputati le ipotesi di reato di omissione di atti d’ufficio, lesioni in conseguenza di altro delitto, falso materiale e soppressione e distruzione di atto pubblico. Una contestazione che era legata al tentativo, sempre secondo la procura, di far sparire il video di quei momenti catturato dalle telecamere di video sorveglianza. La scena era stata ovviamente ripresa dagli obiettivi dei dispositivi di controllo: secondo l’accusa con l’aiuto di un tecnico, il file video era stato trasferito in un hard disk che gli imputati hanno portato via «provvedendo a eliminare il suddetto filmato». Un filmato che durante la precedente udienza, era stato infine depositato dalla pubblica accusa.