la scadenza
Taranto, per l’appalto multiservizi sindacati sul piede di guerra
Ieri il sit in dinanzi al Municipio dei 150 lavoratori precari La proposta: «Usare i soldi destinati ai consiglieri decaduti»
«Una soluzione per i lavoratori degli appalti del Comune entro martedì o sarà la guerra». L’ultimatum lanciato dai sindacati ha una data di scadenza: 25 marzo. In quella data ci sarà un nuovo incontro per sapere se c’è ancora una possibilità di proroga del vecchio appalto e quindi la continuità lavorativa fino all’aggiudicazione del nuovo. Altrimenti i lavoratori dell’appalto multiservizi del Comune di Taranto resteranno senza un’occupazione. L’ultima proroga era stata concessa dall’ormai decaduta Amministrazione Melucci e scade tra pochi giorni, il 31 marzo.
«In concomitanza con l’incontro – ha detto Carmelo Sasso, segretario generale Uil trasporti Taranto – noi faremo un sit in con assemblea dei lavoratori sotto Palazzo di Città. Questa volta speriamo di parlare con la commissaria prefettizia Giuliana Perrotta e speriamo che ci conceda una proroga fino al prossimo bando, altrimenti da martedì scatterà una guerra. Serve una continuità lavorativa». La proposta fatta da Uiltrasporti, Fisascat Cisl e Filcams Cgil è di utilizzare la delibera di un milione di euro approvata come ultimo atto formale della giunta Melucci. «Erano soldi – spiega Sasso - che servivano come gettone di presenza dei consiglieri per le commissioni, ma il consiglio è caduto e non servono più. Abbiamo chiesto di indirizzare i fondi verso questi lavoratori».
Una storia lunga che parte dal dissesto finanziario del Comune nel 2007 e riguarda circa 150 persone che si occupano della manutenzione di piazze e sanificazione di asili nido, o che svolgono, per conto del Comune di Taranto, attività come servizi di guardiania, pulizia di uffici e bagni e perfino il supporto fornito ai dipendenti comunali impegnati in diverse direzioni, come Anagrafe, Tributi, Patrimonio e nella biblioteca “Acclavio”. Lavoratori a rischio povertà li definiscono i sindacati, con un chiaro identikit: impiegati per poche ore mensili, con un basso salario e rapporti di lavoro discontinui, che portano a mesi di sospensione non retribuiti, perché nel loro caso non è prevista la cassa integrazione. «Sicuramente – conferma Sasso – stanno già partendo le lettere di licenziamento e alcuni di loro non avranno diritto neanche alla Naspi». Precari dunque, con uno stipendio che oscilla tra un minimo di 450 euro sino ad un massimo di 900 euro al mese.
Santa Fago ha lavorato negli appalti comunali come impiegata negli asili dal 1996, poi è stata spostata in Villa Peripato. Negli ultimi trent’anni, con questo lavoro ha tirato su tre figli da sola e ora tutto quello che vorrebbe è terminare gli anni che l’avvicinano alla pensione per crearsi un futuro dignitoso. «Devo vedere con quanto posso andarmene in pensione. Dopo 30 anni di lavoro non posso accettare la pensione sociale, non è facile vivere così. Spero veramente che la commissaria sia una donna con la D maiuscola, che capisce le altre donne».
Cinzia Sicara da due anni è stata spostata dagli asili al Patrimonio, dove svolge la mansione di guardiania. «È stato un appalto molto travagliato – racconta – siamo stati ad un 1 ora e 50 al giorno per quasi 10 anni. Siamo anche stati in cassa integrazione, tanti sono stati i passaggi che neanche li riesco più a ricordare. Lavoro dal 1997, sono stata divorziata e ho dovuto badare da sola ai miei due figli e ho fatto tanti sacrifici, ma ora sono stanca».
Per i sindacati non si può consentire che questa gente rimanga senza reddito. «È una platea di lavoratori – ha detto Paola Fresi segretaria Filcams Taranto - oltre i 50 anni, qualcuno giovane c’è, ma sono pochi. Vorrebbero fare gli ultimi anni con serenità. Qui invece abbiamo un lavoro che non è sereno e non è umano. Un problema che non è sempre determinato dalle aziende, la maggior parte delle volte è determinato dalle committenti, come il Comune in questo caso. Perché non si rendono conto che sono esseri umani, non numeri. Perciò dobbiamo smettere di promettere cose che poi non possono essere date, come l’internalizzazione. Sappiamo bene che non è possibile. Questa è una platea di lavoratori mista e problematica, ai limiti del sociale».