le indagini
Taranto, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio: in sei rischiano il processo
Un varesino era finito ai domiciliari per aver sottratto alla sua «Kastar srl» 850mila euro tramite la scissione in due distinte società. La sede legale della Kastar era stata poi trasferita fittiziamente a Taranto
Rischia di finire a processo l’imprenditore Biagio Campione, 70enne varesino che lo scorso luglio era finito ai domiciliari con l’accusa di aver sottratto dalla «Kastar srl», azienda di cui era amministratore di fatto e legale rappresentante dalla sua costituzione nel 2013 e fino al 2019, beni e liquidità per 850mila euro attraverso la scissione in due distinte società. La sede legale della Kastar era stata poi trasferita fittiziamente a Taranto nel 2019 e dichiarata fallita nel 2022. Si terrà infatti nei prossimi mesi l’udienza preliminare che vede coinvolto l’imprenditore varesino e la «Tcs», società da lui gestita e rappresentata. A rischiare di finire alla sbarra, anche altre 5 persone. Tra queste, Viviana Sala, moglie del 70enne e rappresentante legale della «Sonny», Giuseppe Vitiello socio della Tcs, Mario Federico, socio unico – fittizio per gli inquirenti - della Kastar dal 2013 al 2019, Bazzana Gonzales Irene Lorely, legale rappresentante nel ruolo di prestanome dal 2019 e fino al fallimento della società e, infine, Stefano Zadro che teneva le scritture contabili aziendali, accusato di aver sottratto e nascosto i registri dell’impresa amministrata da Campione.
Le indagini della Guardia di finanza di Taranto, coordinate dal pubblico ministero Raffaele Graziano erano partite dalla segnalazione alla procura ionica della sentenza di fallimento della Kastar: questa, per l’accusa, viene svuotata dei suoi beni e della liquidità, mentre nella sede legale della provincia di Varese subentra la Tcs srl, costituita nel settembre 2018 con capitale sociale di 10mila euro, con 95 percento di quote a Giuseppe Vitiello e 5 percento a Campione, in veste di amministratore.
Secondo gli inquirenti, la Tcs, non è altro che «la Kastar che agisce sotto mentite spoglie», poiché con stesso oggetto sociale, sede, stessi dipendenti, principali fornitori e clienti e medesimo amministratore.
La relazione del curatore fallimentare, rappresentato dall’avvocato Michele Rossetti, aveva evidenziato l’opacità della compravendita da parte della Sonny dell’immobile in cui la Kastar aveva sede legale: la proprietà era stata infatti pagata in contanti con copia manoscritta di avvenuto pagamento firmato da Bazzana che allora non era ancora amministratrice. La Sonny, inoltre, era stata costituita a Milano nel 2016 da alcuni familiari dell’imprenditore varesino. Il curatore aveva evidenziato anche l’assenza di documentazione aziendale nel triennio precedente alla dichiarazione di fallimento e il mancato deposito delle scritture contabili societarie, al solo fine, per gli inquirenti di «rendere la Kastar s.r.l. di fatto, un’impresa inattiva, priva di risorse e destinata inevitabilmente al fallimento».