il blitz «lupara»
Taranto, la sentenza: per la «mala dei pascoli» arrivano quattro condanne
Confermate le estorsioni ai danni di agricoltori. Tutti gli imputati assolti dal reato associativo e da altre ipotesi di reato come pascolo abusivo, incendi e pene
Estorsioni agli imprenditori agricoli, ma nessuna associazione a delinquere. È quanto stabilito dal tribunale di Taranto che ieri sera ha emesso la sentenza nei confronti degli imputati coinvolti nel blitz «Lupara» che aveva portato alla luce «la mala dei pascoli» nel tarantino e in particolare tra Pulsano e Lizzano. Quattro le condanne inflitte, ma sono diversi i capi d’accusa che il collegio difensivo, composto tra gli altri dagli avvocati Luigi Esposito, Flavia Russo, Diego Maggi e Mariangela Calò, ha fatto cadere nel corso del primo grado di giudizio.
Il collegio di magistrati, presieduto dal giudice Costanza Chianti e a latere Elio Cicinelli e Flavia Lombardo Pijola, ha assolto tutti gli imputati dall’accusa di associazione a delinquere e da altre ipotesi di reato come il pascolo abusivo e gli incendi, ma li ha ritenuti colpevoli per alcune delle singole accuse mosse a ciascuno. La pena maggiore, a 7 anni di carcere, è stata inflitta al 49enne Cosimo Cappuccio e al 23enne Anthony Basile: entrambi sono stati ritenuti colpevoli di estorsione e il tribunale ha sostanzialmente confermato la richiesta di condanna richiesta dal pm Remo Epifani.
È stato invece condannato a 2 anni di reclusione Antonio Cappuccio, 72enne pulsanese, già condannato per mafia perché affiliato all’ormai dissolto clan Modeo e zio di Marino Pulito, il macellaio che fu luogotenente dei fratelli Riccardo, Gianfranco e Claudio: per lui la procura aveva chiesto una condanna a 8 anni, ma i giudici hanno ritenuto che vi fossero prove sufficienti per condannarlo solo per l’accusa di occupazione abusiva di una masseria. Per lo stesso reato ha invece rimediato la condanna a 1 anno e 4 mesi la moglie di Cappuccio, Pasqualina Morciano: per lei la richiesta dell’accusa era stata di 6 anni di carcere.
Secondo l’accusa iniziale facevano pascolare le greggi sui terreni di altre aziende agricole e chi protestava rischiava minacce, incendi e danneggiamenti, ma come detto solo alcuni di questi capi di imputazione sono stati ritenuti provati. Le indagini dei carabinieri, comunque, hanno permesso di individuare una zona ricompresa tra i comuni di Pulsano, Leporano, Lizzano e Taranto, per un’estensione di diverse centinaia di ettari, in cui alcuni membri della famiglia Cappuccio, dopo aver occupato abusivamente un’antica masseria e le aree di pascolo, destinate come ricovero degli animali e alla macellazione clandestina, avano acquisito il controllo delle aree per il pascolo delle greggi esercitando un’asfissiante forza intimidatrice nei confronti di numerosi imprenditori agricoli, costretti a subire le invasioni di oltre capi di bestiame di proprietà dell’azienda agricola riconducibile degli imputati. In oltre dieci anni sarebbero, per i militari dell’Arma, ingenti danni generati a colture e piantagioni oltre alla grave compromissione dello stato dei terreni.
Bisognerà ora attendere le motivazioni della sentenza per capire quali siano stati gli elementi che hanno spinto il collegio a emettere questo verdetto: sulla base di quelle ragioni, accusa e difesa, dovranno poi valutare se impugnare o meno la sentenza dinanzi alla corte d’appello di Taranto.