Taranto, 7 condanne nel processo in abbreviato sul racket delle cozze
Gli imputati sono coinvolti nell’inchiesta sulle estorsioni ai mitilicoltori e rivenditori tarantini di pesce e rutti di mare
TARANTO - Sono sette le condanne inflitte ad altrettanti imputati coinvolti nell’inchiesta «Respect» sulle estorsioni ai danni di miticoltori e rivenditori di pesce e frutti di mare di Taranto. La sentenza, emessa al termine del processo con rito abbreviato, segue quella già emessa nei confronti di coloro che aveva scelto il rito ordinario. Il gip Rita Romano nel pomeriggio di ieri ha inflitto la pena maggiore a 7 anni e 4 mesi nei confronti di Nicola e Cosimo Blasi: per i due l’avvocato Maurizio Besio ha ottenuto per entrambi l’assoluzione dall’accusa di associazione a delinquere, ma il giudice ha comunque determinato una pena maggiore di quella richiesta dal pm Enrico Bruschi. Il verdetto, inoltre, ha condannato a 2 anni e 8 mesi Luigi Porzio difeso dall’avvocato Gianluca Sebastio, a 2 anni Angelo Blasi, a 1 anno e 8 mesi Maurizio Scalera e infine a 1 anno e 6 mesi Angelo Mancini e Christian Marrone.
All’alba del 21 febbraio 2017 furono sei gli arresti effettuati ieri mattina dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del comando provinciale di Taranto e dai militari della Capitaneria di Porto: in carcere finì anche Massimo Ranieri, l’uomo ritenuto dagli investigatori al centro nevralgico dell’attività illecita e che al termine del processo con rito ordinario ha rimediato una condanna a 23 anni di carcere, ma in secondo grado il suo difensore ottenne una riduzione a 14 anni a 14 anni.
L’inchiesta «Respect» era una sorta di secondo atto di una prima indagine, denominata «Piovra», sul racket delle cozze che aveva portato in carcere Damiano Ranieri. Le nuove indagini si erano concentrate sul figlio di questi, Cosimo, e poi su Massimo Ranieri, fratello di Damiano, che aveva estromesso il nipote dagli affari costituendo un nuovo gruppo del quale, secondo il pubblico ministero Giovanna Cannarile, facevano parte una serie di familiari.
L’inchiesta era stata ribattezzata «Respect» per via dell’indicazione di Ranieri di pretendere il pagamento del «rispetto» dalle vittime. Le attività sono partite dall’ascolto dei colloqui in carcere tra Damiano Ranieri e il figlio Cosimo detto «cioccolata» e poi dai colloqui che all’epoca della sua detenzione Massimo Ranieri intratteneva coi familiari. La seconda inchiesta, in sostanza, aveva dimostrato come la prima ondata di arresti non fosse sufficiente a debellare il fenomeno che, al contrario, era stato ereditato dai familiari stretti degli arrestati. In primo luogo proprio «cioccolata» che avrebbe speso il nome del padre per ottenere denaro dai pescatori: un’eredità scippata dallo zio dopo la scarcerazione di quest’ultimo. «Cioccolata», secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, era stato costretto a sopperire alla mancanza di introiti con lo spaccio di droga tra il quartiere Tamburi e la città vecchia. Le indagini di carabinieri e marinai della Capitaneria furono portate avanti oltre che con l’uso di intercettazioni ambientali e telefoniche anche attraverso il pedinamento per terra e per mare degli indagati: gli investigatori riuscirono a ottenere gli arresti dal gip Filippo DI Todaro nonostante la reticenza di molte vittime a collaborare con le forze dell’ordine.