Il fenomeno
Bari, il liutaio diventato clochard: storie di una terra di mezzo
Di notte avvolti nei sacchi a pelo blu agli angoli delle strade e di giorno lavoratori precari o magari pagati a giornata. Quando il lavoro lo trovano
Giovanni dormiva seduto accanto al bancomat di viale Capruzzi. Quando gli operatori del Centro di aiuto psico sociale (Caps), dopo tanta resistenza, lo convinsero a lasciare la strada continuava a dormire così anche nel letto della struttura che lo accolse. Nella stessa posizione. Un modo per sentirsi al sicuro anche lontano dalla strada. Al caldo.
Francesco suonava il liuto arabo ed era molto noto negli ambienti musicali. Aveva viaggiato per il mondo. Una cultura che spiazzava dalla politica all’attualità. Una chitarra sempre pronta per allietare gli amici che con lui condividevano la strada in piazza Balenzano. Un sorriso malinconico. L’alcol ha bruciato tutto: il suo talento, la sua vita. Nadhir dorme tra via Quintino Sella e corso Italia. Le coperte sono lì ammassate anche se non servono. Quasi a comunicare che quello è il suo posto.
Ma c’è anche Francis che ora non c’è più. Israeliano di madre e ceco di padre. «Abbiamo fatto un grande lavoro con lui» racconta la coordinatrice dell’unità mobile del Caps, Rachele Magaletti che, assieme alla psicologa Eliana Calò e agli operatori sociali, Lucia D’Ariano e Marcello Maggi sfiorano prima e ascoltano poi le vite di chi per strada ci vive. Senza una casa, un letto e una famiglia. «Ci ha lasciato un anno fa. Anche lui ucciso dall’alcol. Ci abbiamo provato ma non sempre ci riusciamo. E resta un lutto da elaborare anche per noi».
Sono storie molto simili tra loro quelle della gente della notte. Storie di vite complesse e spesso segnate da difficoltà, traumi e mancanza di opportunità. Storie drammatiche, quasi sempre, che raccontano le sfide di quanti affrontano la loro vita senza una casa. Alla ricerca di normalità e di dignità. «In molti casi la strada diventa una gabbia - spiega Magaletti - dalla quale si fa fatica ad uscire. E allora siamo noi ad andare da loro. Conosciamo tutti i punti della città dove transitano. Stazionano. Sono circa ottanta. E allora il nostro lavoro è proprio questo: quello di portare un supporto a chi preferisce costruirsi una casa con pezzi di cartone. Sugli scalini o sulle panchine. Che faccia caldo o freddo».
Il pensiero arriva a chi proprio di freddo è morto. Una manciata di anni fa a poche ore dall’inizio del nuovo anno, fu trovato morto in piazza Cesare Battisti, nel cuore di Bari. Aveva quarantadue anni ed era un senza fissa dimora: uno dei tanti che si aggirano nei pressi della stazione ferroviaria. L’uomo è stato trovato senza vita intorno alle sette del mattino da un passante che ha subito chiamato i soccorsi. «Abbiamo provato più volte a parlargli e a convincerlo a farsi aiutare. Non ha mai voluto».
Di notte avvolti nei sacchi a pelo blu agli angoli delle strade e di giorno lavoratori precari o magari pagati a giornata. Quando il lavoro lo trovano. Finiscono in una specie di terra di mezzo: non hanno le risorse per farsi una famiglia, né per pagarsi un affitto. Ma a volte non lo vogliono neanche. Come Antonio che vive in una roulotte a pochi passi da Parco Perotti. Aveva una famiglia, un tempo. Una figlia che ha cresciuto. Poi il Covid, il lavoro che scarseggiava e una moglie che ha deciso di metterlo alla porta. «Ho lasciato il mio paese perché tutti parlavano. Tutti sapevano ed era umiliante. Sono andato prima a Taranto e poi a Bari. Con la mia tenda ho dormito un po’ ovunque. Poi ho conosciuto Angelo e abbiamo deciso di condividere questa roulotte. Non mi manca la mia vecchia vita. All’inizio è dura. Ma ora mi sento più leggero. Ho meno preoccupazioni. Certo ho sessant’anni e mi spaventa l’idea di morire da solo».
Tra le coperte raccattate alla meno peggio si stringono anche alleanze: «Non sono sempre amicizie vere e proprie - spiega la coordinatrice dell’Unità mobile - ma sono rapporti che nascono dalla necessità di condividere dei bisogni. Che siano alcol o il guardarsi le spalle di notte. Perché i brick di vino acquistati a due euro nei discount alle volte sono l’unica cosa che condividono. Ecco perché questa gente dopo un primo momento di difficoltà si apre. Ha bisogno di raccontarsi, di fidarsi. Noi cerchiamo di abbattere le distanze».
Lungo i marciapiedi, a ridosso dei portoni e, a volte nei cantieri abbandonati, l’Unità mobile del Caps porta amicizia. Ma anche supporto psicologico e quando serve supporto sanitario. Soprattutto incrocia vite. «Dietro i cenci - racconta ancora Magaletti - ci sono storie di solitudine e spesso di violenza. Nella maggior parte dei casi la gente non le vuole vedere. Spesso ci segnalano la presenza di qualcuno che dorme vicino al loro portone. Ci dicono: “Poverino. Potete fare qualcosa? Mia figlia quando torna a casa ha paura”. Purtroppo, si ha paura di quello che non si conosce. E così facendo spesso perdiamo pezzi di vita».