Palcoscenico
Riccardo Muti e i Wiener Philarmoniker: magica armonia al Petruzzelli nel segno di Mozart e Schubert
Bari, ieri in Teatro il grande appuntamento della Fondazione. Applausi ed entusiasmo per una esibizione di valore storico
BARI - Se li dirige ininterrottamente dal 1971, tutti gli anni, un motivo ci sarà. La presenza di Riccardo Muti sul podio dei Wiener Philharmoniker rappresenta ormai una di quelle fusioni artistiche indissolubili: il suono e la tradizione della Mitteleuropa, con l’italianità del sentimento musicale, frutto di enorme studio, conoscenza e passione. L’omogeneità cristallina del timbro viennese, con l’espressione e la morbidezza di un gesto capace di interpretare al meglio qualsiasi partitura. Quello di ieri sera, al Teatro Petruzzelli di Bari, resterà uno dei concerti più belli da ricordare, salutato da autentiche e lunghissime ovazioni del pubblico, testimone di un evento unico. Il concerto fuori abbonamento della Fondazione Petruzzelli giunge al termine di una tournée straordinaria tenuta da Muti con i Wiener, che insieme vantano oltre 500 concerti pubblici: dal 7 maggio era stata già sublimata con la riproposta al Musikverein di Vienna della Nona Sinfonia di Beethoven, nel 200esimo anniversario della sua prima esecuzione. E già questo la dice lunga, se un direttore italiano (seppur della caratura internazionale di Muti) viene preferito ad altri grandi austriaci e tedeschi, che di certo non mancano. Così, dopo ben quattro serate celebrative a Vienna per l’evento beethoveniano, Muti e Wiener hanno suonato per la prima volta nell’anfiteatro berlinese della Waldbühne, in un concerto intitolato «Una notte europea», che puntava dichiaratamente a unire musicalmente il continente e a sottolineare il bisogno di pace. Quindi, la mini tournée italiana: tre giorni consecutivi nei quali Muti ha diretto i Wiener per inaugurare l’ultima edizione del Ravenna Festival, seguita poi dall’esibizione al Maggio Musicale Fiorentino e poi quella di ieri al Petruzzelli.
Con un impaginato che ha esaltato il grande classicismo viennese in due sinfonie simboliche, come la Haffner (1782) di Wolfgang Amadeus Mozart, e la Sinfonia La Grande (1825-28) di Franz Schubert. Non si può non restare estasiati dal suono smaltato, dall’estremo controllo delle mezze tinte, dalla compattezza sinfonica in tutti gli insiemi e da una gestione dei crescendi e diminuendi sempre fascinosa dei Wiener. L’emissione sonora è costantemente morbida, ma decisamente virile nella Haffner mozartiana, con Muti che ormai è uno di quei direttori che mantengono il controllo sul podio con un gesto sempre più minimo e rarefatto, ma capace di esprimere tutto il sentimento che la musica promana. Muti cura moltissimo il fraseggio di tutte le famiglie orchestrali, ma in particolare quello di violoncelli e contrabbassi, e la cura estrema del nucleo sonoro che parte dagli archi resterà poi centrale nella Grande di Schubert. Epicentro sonoro della serata, se non altro per le sue dimensioni (un’ora di musica), è uno di quei brani in cui il direttore ha posto un punto esclamativo nella storia dell’interpretazione, grazie a indimenticabili incisioni.
Dalla magica evocazione iniziale, con un respiro dell’introduzione ampio e solenne, tutta la sinfonia «corre» verso un’apoteosi finale. Con l’esaltazione dei ritmi puntati del primo movimento, i cantabili sempre densi e ricchi di chiaroscuri, i sottili andamenti di marcia dell’«Andante con moto», il vigore popolaresco dello «Scherzo» e il grandioso finale, in cui Muti regala uno slancio trascinante, totalmente fluido e gioioso.
Non sono mancati i ringraziamenti finali dello stesso Muti, con la consueta ironia.