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Miguel Bosè, spirito ribelle: storia di una vita tra arte ed eccessi
Sei episodi diretti da Nacho Faerna nei quali José Pastor interpreta quel ragazzo seducente e dal sorriso carnivoro col sogno dei tacchi a spillo
Figlio del matador seduttore Luis Miguel Dominguín, l’uomo da 3000 trofei, e dell’attrice Lucia Bosé, mistero impenetrabile e divina sonnambula per Michelangelo Antonioni, Miguel Bosé ha lottato fin da giovanissimo per uscire dall’ombra dei suoi celebri genitori. Dopo aver debuttato timidamente nel cinema, trova la sua voce attraverso la musica e la danza diventando in pochi anni il mostro sacro della pop-dance ispano-americana. Nella Spagna franchista consuma una vita sulfurea: bisessualità, droghe ed eccessi di ogni genere.
Lo spirito ribelle lo eredita dalla madre e fa fronte a un padre machista e conservatore, che lo vorrebbe imbrigliare in un abito davvero troppo stretto per lui. Dietro al sorriso carnivoro, Miguel sogna tacchi a spillo. Nacho Faerna gli consacra una serie che ripercorre la sua success story: la costruzione di un’icona gay nell’atmosfera vintage degli anni 1970-1980.
Declinata in sei episodi, diffusi su Paramount+, Bosé cerca artificiosamente la persona dietro al mito: il rapporto conflittuale col padre, l’amore irriducibile per la madre, la difficoltà a conciliare vita privata e carriera, la maternità tardiva ricorrendo a una madre surrogata. José Pastor, volto da soap che interpreta il giovane Bosé, ha gli stessi grandi occhi neri che gli divorano il volto, lo stesso smile abbagliante, le stesse linee che disegnano il volo di Super Superman o il «filo sospeso» su cui avanzano bravi ragazzi allo sbando.
Resta fuori campo la deriva cospirazionista dell’artista, che ama le «maschere» soltanto in scena e invitava i fan sotto pandemia a disprezzare regole e confinamento. La serie si consuma presto, leggera come il pop di Bosé che soltanto Almodóvar ha saputo trasfigurare nell’interpretazione «letale» di Un año de amor (Tacchi a spillo).